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Gli studi che analizzano l’aerosol delle sigarette elettroniche generato automaticamente presentano dei problemi che ne invalidano i risultati. Sono queste le conclusioni di una revisione disponibile su Qeios in versione prestampa, cioè prima di essere sottoposta al processo di peer-review. Nonostante questo il lavoro, intitolato “Critical Appraisal of Exposure Studies on E-Cigarette Aerosols Generated by High-Powered Devices”, è molto interessante e offre spunti di riflessione. Gli autori sono Sébastien Soulet di Ingesciences in Francia e Roberto Sussman dell’Istituto di scienze nucleari presso l’Universidad Nacional Autónoma de México.
I due hanno esaminato la qualità sperimentale delle procedure di generazione di aerosol di quaranta studi, selezionati da un’ampia ricerca. I lavori avevano in comune l’uso del sistema InExpose con resistenza da 0,15 ohm. Questo sistema, utilizzato per condurre studi preclinici in laboratorio, genera l’aerosol della sigaretta elettronica aspirando da un dispositivo di terza generazione (Evic Mini di Joyetech, in foto), in cui l’atomizzatore è sostituito da un serbatoio da 70 ml. Di questi quaranta studi iniziali, solo quattordici fornivano informazioni sufficienti sulla metodologia usata per generare l’aerosol. Gli autori ne hanno identificati e rivisto individualmente cinque, nei quali era presente anche l’analisi chimica dell’aerosol.
Le conclusioni a cui sono giunti Soulet e Sussman sono piuttosto preoccupanti. “Secondo i nostri risultati sperimentali – scrivono – vi è la piena certezza che tutti i quattordici studi hanno esposto sistemi biologici ad aerosol generati in condizioni di surriscaldamento e non realistiche con elevati carichi di aldeide che derivano dall’aspirazione di un dispositivo ad alta potenza con flusso d’aria inappropriato”. Gli altri problemi riscontrati sono, per esempio, concentrazioni di nicotina eccessive per il tipo di tiro fornito dal dispositivo e dalla resistenza, una non comprensione dei tiri a secco con conseguente normalizzazione di un uso non normale e, in generale, una insufficiente conoscenza dei modelli di utilizzo del consumatore. Tutto questo porta, naturalmente, ad avere risultati tossicologici che non rispecchiano la reale esposizione degli utilizzatori.
Eppure, secondo gli autori, InExpose è uno strumento prezioso per gli esami preclinici di laboratorio. Per questo offrono una guida per il giusto uso che prevede, per esempio di utilizzare resistenze adatte, di calibrare scrupolosamente il flusso dell’aria e usare potenze adatte alla resistenza, ricordando infine che la Evic Mini è un modello ormai obsoleto e che sarebbe utile sostituirlo con uno più recente. “Tuttavia – conclude infine lo studio – la domanda principale su cui riflettere è perché prendere in considerazione dispositivi sub-ohm ad alta potenza negli studi preclinici, quando il loro utilizzo non è rappresentativo delle preferenze dei consumatori, che attualmente si sono spostati in modo schiacciante verso dispositivi a bassa potenza e monouso”. La risposta potrebbe essere poco rassicurante.