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La ricerca scientifica nel campo del fumo, e quindi anche dei prodotti alternativi come la sigaretta elettronica, è quasi interamente focalizzata sui giovani, mentre esclude quelle fasce di popolazione (dai 45 anni in su) dove il fumo è più diffuso e crea maggiori danni. Questo non solo rischia di dare un quadro falsato dei potenziali benefici e rischi delle politiche sul tabacco, ma può invalidare la generalizzabilità, l’integrità e l’impatto della ricerca sul tabacco e sulla nicotina. A sostenerlo sono sei ricercatori americani dell’Università del Maryland e di quella di Buffalo che, coordinati da Bethea A. Kleykamp, hanno condotto uno studio intitolato “Lost in the Smoke: Underrepresentation of Aging Adults in Nicotine and Tobacco Research”, pubblicato sotto forma di manoscritto accettato su Nicotine & Tobacco Research.
Nella loro introduzione gli autori sottolineano come in alcune parti del mondo la prevalenza del fumo di tabacco è diminuita in modo significativo, in particolare tra i giovani e i giovani adulti. Però in Stati Uniti, Regno Unito e nel resto dell’Europa queste riduzioni sono state meno pronunciate fra gli adulti di mezza età (45-64 anni) e inesistenti fra gli adulti più anziani (65 anni e oltre). Addirittura, negli Usa, fra gli anziani che vivono al di sotto della soglia di povertà, i tassi di fumo sono aumentati tra il 2011 e il 2022, passando dal 13% al 16%. Allo stesso tempo, gli anziani rappresentano la fascia demografica in più rapida crescita a livello mondiale e, per la prima volta nella storia, si prevede che il loro numero supererà quello dei giovani. Un cambiamento sociodemografico che richiederebbe che la ricerca biomedica si occupasse di questo gruppo demografico. Ma non è così.
Gli autori hanno valutato la rappresentazione dell’età nella ricerca diffusa da un’organizzazione scientifica riconosciuta a livello mondiale, la Society for Research on Nicotine and Tobacco. Sono stati identificati in totale 3123 studi, usciti negli anni alterni 2019, 2021 e 2023, il 42% dei quali consentiva la codifica di almeno una fascia di età. L’analisi dimostra quanto sostenuto dagli autori, L’86% degli studi includeva i giovani, il 32% includeva gli adulti di mezza età e l’11% includeva gli adulti più anziani. Al contrario, oltre la metà degli studi escludeva adulti di mezza età e anziani rispetto al 6% che escludeva i giovani. I ricercatori hanno poi ulteriormente ristretto l’analisi a 970 studi che riportavano l’età in modo più completo. Di questi il 70,8% includeva solo giovani, mentre solo il 2,2% e lo 0,5% si concentravano rispettivamente esclusivamente su adulti di mezza età o anziani. L’età media dei partecipanti nei 347 studi che riportavano valori medi era di 35 anni. Tuttavia, quando gli studi riportavano un intervallo di età massimo, il 74,8% (395 su 528) escludeva le persone di età pari o superiore a 35 anni.
Secondo gli autori, questi risultati evidenziano degli aspetti critici nella ricerca e dimostrano una tendenza preoccupante. “Gli anziani – scrivono – non solo sono sottorappresentati, ma sono spesso esclusi del tutto. Inoltre, abbiamo identificato una significativa sottorappresentazione degli adulti di mezza età, un gruppo spesso associato alla più alta probabilità di fumare tabacco”. I motivi di questa omissione, secondo gli autori, sono molteplici. Prima di tutto la persistenza di un pregiudizio nella ricerca biomedica verso gli anziani. Poi la riluttanza dei ricercatori a studiare popolazioni che magari hanno fumato per decenni e possono presentare diverse malattie e seguire più terapie. Infine la forte influenza, almeno negli Stati Uniti, di organizzazioni a tutela dei giovani come Campaign for Tobacco Free Kids e Parents Against Vaping.
L’esclusione degli adulti e degli anziani dalla ricerca, però, non è solo “eticamente ingiustificabile”, come scrivono gli autori, ma porta anche fuori strada. Molte delle politiche intraprese contro il fumo (prezzi, divieto di pubblicità, campagne informative), non hanno avuto effetto sui più anziani. Soprattutto, si sottovalutano quegli strumenti di riduzione del danno, sigaretta elettronica in primis, che sono pensati proprio per aiutare i fumatori più restii a smettere. “Gli effetti di politiche nuove e in evoluzione relative alle restrizioni sui gusti e all’accesso alle sigarette elettroniche – si legge nello studio – potrebbero variare anche in base all’età”, cioè essere efficaci per i giovani ma controproducenti per i più adulti.
Insomma, alla luce dei risultati di questo studio e della crescita della popolazione anziana, c’è bisogno di un cambiamento di paradigma nella ricerca su tabacco e nicotina. “Ampliare la ricerca sulla nicotina e sul tabacco per affrontare l’intero arco di vita, piuttosto che concentrarsi prevalentemente su fasce di età più giovani – concludono gli autori – è essenziale per ridurre il peso delle malattie correlate al tabacco tra le popolazioni più anziane e promuovere una società più sana ed equa”.