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La famosa “steccata”. Quella sensazione sgradevole. Cotone bruciato e liquido surriscaldato. Quel momento in cui il vaper turpiloquia. Perché esperisce uno dei momenti meno desiderati e meno gradevoli. Una sorta di coltellata in gola. Che a volte ti toglie il respiro per diversi secondi. Ma capita. A tutti. Anche agli esperti. E chi lo nega mente sapendo di mentire.
Sospendiamo il sincopato alla Ilvo Diamanti ed entriamo nello specifico: nel gergo la steccata è un surriscaldamento della resistenza di vaporizzazione che si verifica all’atto dell’aspirazione ed è dovuto alla mancanza di liquido nel vettore (che può essere cotone, mesh, silica rope, ecc), causato da disattenzione nella sorveglianza sulla presenza di liquido nel serbatoio o, in qualche caso, da malfunzionamenti, che porta in ogni caso la resistenza stessa a temperature ben oltre quelle di normale esercizio.
In tali condizioni, si superano abbondantemente i 300/400 gradi centigradi e, a quelle temperature, non solo si brucia il cotone (che non tollera più di 250°C, come risulta dalle tabelle pubblicate dai vigili del fuoco), ma il glicerolo vegetale, componente di circa metà del liquido da vaping che in purezza evapora a 290°C, si altera chimicamente e può produrre (tra l’altro) acroleina. Per una volta, dunque, ci si ritrova effettivamente in condizioni di immettere nel cavo orale sostanze tossiche, sgradevoli, scostanti e nocive, ma niente paura, succede una volta. Poi per mesi, a volte anni, non accade più: ricordando che è la dose a fare il veleno, non c’è nulla da temere. Ma la circostanza resta estremamente sgradevole e costringe, a seconda del device utilizzato, a sostituire la cartuccia, o la testina o, nel caso di dispositivi rigenerabili, a rigenerare. L’esperto lo sa, non si spaventa, si arma di santa pazienza e procede. Il principiante? Ho conosciuto diversi principianti che, dopo quest’esperienza, hanno ricominciato a fumare. Altri che, dopo la famigerata steccata, hanno preso il dispositivo e l’hanno lanciato via, accompagnato da improperi impronunciabili. Peccato, no?
Eppure si potrebbe evitare. Già nel 2019 ci provò un noto produttore asiatico: tralasciando l’assai contenuto rendimento aromatico, produsse delle pod con il controllo di fine liquido che, in assenza di quest’ultimo, con una luce rossa segnalavano la circostanza e impedivano l’attivazione della resistenza. Pochi, pochissimi altri produttori odierni lo fanno. Non ci vorrebbe molto e non si tratterebbe certo di realizzare dispositivi semplici, senza alcun tasto, che abbiano la pretesa del controllo della temperatura, ossia di un sistema che faccia svapare a temperatura costante (il che porta anche altri vantaggi, ma questo è altro discorso). Si tratterebbe solo di far rilevare al circuito elettronico che la resistenza sta per lavorare a secco, o sta già lavorando a secco, e impedire che raggiunga temperature rischiose per il cotone, per il liquido e, ovviamente, per la gola e i polmoni di chi svapa. I dispositivi che includono questo sistema sono molto pochi e, invece, a mio personale avviso dovrebbero farlo tutti o, almeno, tutti quelli che hanno la pretesa di dichiararsi “per principianti” o parte di starter kit per principianti.
In fin dei conti basterebbe una semplice resistenza in acciaio Ss316, Ss316L, Ss304, Ss430, qualsiasi sia, in unione a un circuito la cui unica funzione addizionale sarebbe solo la sorveglianza in tempo reale dell’impedenza e, in caso di superamento del valore impostato di fabbrica, interdire l’erogazione segnalando l’anomalia all’utente. L’impedenza (ossia il valore in Ohm), infatti, nel caso di leghe come il FeCrAl (ferro/cromo/alluminio, detto commercialmente Kanthal), il Ni80 (costituito dall’80% di Nichel e il 20% di Ferro), il Ni70, il Ni90 e qualche altra, variano il proprio valore al variare della temperatura in modo talmente ridotto da essere difficilmente rilevabile e, pertanto, si considera costante. Altre leghe, come quelle in stainless steel (e diverse altre), invece, variano la propria impedenza abbastanza da poterlo rilevare e ciò sarebbe sufficiente per scongiurare qualsiasi rischio di steccata.
Questi pensieri, dunque, rappresentano certamente diffusione di conoscenza per i principianti, ma soprattutto un appello ai produttori, in particolare quelli più grandi, per i quali l’investimento da fare sarebbe molto contenuto e garantirebbe la fiducia di una porzione di pubblico molto più ampia, scongiurando il rischio di rinuncia al ricorso allo svapo con lo scopo di scalzare il vizio del fumo tradizionale, perdendo così l’occasione per ridurre i rischi per la propria salute di (almeno) il 95%. Va infatti ricordato che quel 5% “prudenziale”, che emerge dal famoso studio del Public Health England – sino ad oggi mai falsificato e dunque ancora scientificamente valido – racchiude proprio quelle componenti di rischio residuo dovute a circostanze non prevedibili, tra cui i casi di attivazione a secco. Che, va detto, sono circostanze in cui chi, da vaper con maggiore esperienza, utilizza il controllo della temperatura al fine di ottenere aromaticità più costante e minore aggressione della resistenza, sono da tempo memorabile ricordi del passato mentre restano, per chi utilizza le classiche modalità variwatt, varivolt, meccanica o i dispositivi semplici (pod), una spada di Damocle pronta a conficcarsi nella gola alla prima distrazione o alla prima rigenerazione inadeguata.