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Una delle componenti più difficili da scardinare della dipendenza da tabacco riguarda il profondo legame che si innesca tra l’abitudine dannosa, quella di accendersi una sigaretta, e l’attaccamento emotivo e psicologico a quello specifico gesto.
Numerose evidenze scientifiche correlano, infatti, l’abitudine al fumo a una componente psicologica di auto-medicazione o di supporto emotivo: soprattutto in contesti svantaggiati, dove subentrano forti pressioni economiche e fattori ansiogeni o in contesti dove prevalgono squilibri emotivi o psicologici, il fumo viene associato a un’abitudine quasi “terapeutica”.
Proprio questa correlazione è oggetto di numerosi studi condotti dal Coehar di Catania, che si concentrano sulla strategie di riduzione del danno come strumento efficace di lotta al fumo tra persone in difficoltà o affette da disturbi psicologici di varia natura, come quelli dello spettro schizofrenico: in questi casi, i percorsi di cessazione o i trattamenti farmacologici canonici raramente portano a cambiamenti significativi nelle abitudini del paziente, mentre i danni fisici causati dalla sigaretta continuano indisturbati a fare il loro corso. Per queste specifiche popolazioni, gli strumenti a rischio modificato, come le sigarette elettroniche e i prodotti a tabacco riscaldato, possono portare a un miglioramento dello stato di salute generale del paziente stesso. Un discorso analogo vale per i soggetti in difficoltà economica o le persone senza una fissa dimora: la dipendenza dalla sigaretta diventa un gesto liberatorio, una scappatoia dalla realtà quotidiana o banalmente una merce di scambio nella vita di tutti i giorni.
Le normative antifumo non sembrano avere effetto: lo stress che i tabagisti sperimentano nella quotidianità richiede evasione, un palliativo che spesso è identificato con il fumo. Le difficoltà giornaliere e lo stile di vita sregolato implicano che raramente tali individui facciano rientrare nelle proprie priorità la salute.
“I soggetti che vivono in situazioni svantaggiate spesso non riescono o non vogliono abbandonare il fumo” spiega il professor Pasquale Caponnetto, del dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università di Catania e ricercatore del Coehar “L’instabilità di una vita segnata dalla precarietà economica mal si concilia con il supporto sociale ed emotivo e la stabilità che necessariamente ci devono essere per poter pensare di approcciare un percorso di cessazione dagli esiti positivi. Il fumo diventa un meccanismo di difesa, che rende oltremodo difficile scardinare la dipendenza e l’insieme di quelle ritualità associate all’accendersi una sigaretta. Inoltre, studi condotti in diversi paesi dimostrano come le norme antifumo varate sul piano economico, ad esempio l’innalzamento dei prezzi dei pacchetti di sigarette, aumentino la forbice sociale”.
Infatti, chi fuma, anche se in difficoltà economiche evidenti, continuerà a spendere una parte sempre più considerevole delle proprie finanze in sigarette: mentre quindi alcuni adulti, soprattutto chi gode di un’agiatezza socio-economico maggiore, smetteranno di fumare anche perchè la sigaretta è troppo costosa, altri che non possono o non vogliono, continueranno a spendere di più, in una circolo vizioso che si tramuta in maggior insicurezza economica e una qualità della vita generalmente più bassa. “I dati confermano che – continua Caponnetto – tra la popolazione svantaggiata, il fumo è una delle maggiori cause di disuguaglianza di salute e una delle principali cause di morte, portando a situazioni di difficoltà finanziarie e scarso accesso all’assistenza sanitaria”.
Per questi motivi, Eclat, lo spin-off dell’Università di Catania dedicato alla ricerca antifumo, in collaborazione con Coehar, il centro di eccellenza internazionale per la ricerca sul danno da fumo dell’Università di Catania, e Liaf, la Lega italiana antifumo, ha deciso di impegnarsi in un progetto sociale a sostegno della Caritas di Catania, rivolto a circa cento soggetti fumatori in condizioni economico-sociali svantaggiate. Un progetto di volontariato e assistenza che aiuta concretamente i fumatori di una classe spesso dimenticata dalla società e dalla comunità scientifica internazionale che si occupa di cessazione: ai partecipanti sono state fornite cento sigarette elettroniche e relative ricariche. Il progetto “Coehar in Caritas” è un progetto pilota, unico nelle sue dinamiche, che, per la prima volta, entra efficacemente nella quotidianità di persone che non hanno gli strumenti, i mezzi o la volontà per dire addio alla sigaretta. I volontari e gli specialisti del Coehar e di Liaf stanno affiancando in questi giorni i soggetti coinvolti, fornendo un servizio di assistenza alla cessazione, informazione sanitaria adeguata e monitorando lo stato di salute delle persone coinvolte. L’attività di cessazione è corredata di un servizio di informazione sulle scelte di salute e sugli stili di vita necessari per adoperare cambiamenti sanitari importanti. Il progetto è portato avanti grazie al prezioso supporto della Caritas di Catania e dei suoi volontari, tra cui Giovanni Mangano, psicologo del centro di ascolto di Caritas, che ha accolto favorevolmente l’iniziativa e ha messo a disposizione i propri ambienti e la propria struttura per supportare l’attività dei ricercatori. L’obiettivo finale del progetto è quello di fornire un aiuto concreto a persone spesso lasciate ai margini della società; allo stesso tempo, i dati forniti potranno essere utilizzati per comprendere ulteriormente i profondi meccanismi sociali, economici e psicologici che legano le persone alla dipendenza da sigaretta, valutando l’impatto delle strategie di riduzione del danno in un contesto di riferimento di vita quotidiana. Il Coehar, nel frattempo, è in contatto con altre associazioni internazionali e chissà se lo stesso non possa ripetersi a breve anche in altre città italiane o estere.
L’autore: Chiara Nobis è ghost writer esperta in riduzione del dano da fumo