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Non si ferma la cattiva scienza contro la sigaretta elettronica

Due studi appena pubblicati confutano una meta-analisi che equiparava i danni del vaping a quelli del fumo.

Sono due gli studi scientifici pubblicati in questi giorni che smentiscono i risultati di una meta-analisi pubblicata il 27 febbraio del 2024 sul New England Medical Journal e intitolata “Population-Based Disease Odds for E-Cigarettes and Dual Use versus Cigarettes”. L’autore principale della ricerca era Stanton Glantz, già docente presso la University of California di San Francisco, già eroe del tobacco control e acerrimo oppositore della sigaretta elettronica come strumento di riduzione del danno da fumo. La sua meta-analisi concludeva che non vi erano reali differenze di rischio fra gli utilizzatori di sigaretta elettronica e i fumatori per quanto riguarda le malattie cardiovascolari, l’ictus e le disfunzioni metaboliche. Il rischio di malattie orali e respiratorie come asma, broncopneumopatia cronica ostruttiva (Bpco) risultava minore per i vaper rispetto ai fumatori, ma sempre “notevole”. Addirittura, secondo le conclusioni di Glantz, per gli utilizzatori duali il rischio di malattie era fra il 20% e il 40% superiore a quello dei fumatori, “il che – scrivevano gli autori nelle conclusioni – suggerisce un aumento dei rischi complessivi per la popolazione legata alle sigarette elettroniche, anche per quanto riguarda le malattie respiratorie”.
Come accaduto in passato per diversi studi di Glantz, anche questa meta-analisi non aveva convinto la comunità scientifica che crede nella riduzione del danno né per la metodologia usata né per le conclusioni. A luglio del 2024 una lettera indirizzata al New England Medical Journal da scienziati del calibro di Nancy Rigotti, Michael Cummings e Neal Benowitz ne evidenziava i limiti. “Contestiamo la validità delle conclusioni degli autori – scrivevano gli scienziati – che riteniamo premature e che riflettono una grave errata interpretazione delle prove epidemiologiche”.
Oggi però arrivano delle risposte più articolate. La prima è uno studio pubblicato il 12 maggio scorso sulla rivista Internal and Emergency Medicine, già sottoposto al processo di peer-review, intitolato “Inaccurate and misleading meta-analysis of E-cigarettes and population-based diseases” e condotto da Brad Rodu e Nantaporn Plurphanswat dell’Università di Louisvile insieme a Jordan Rodu della University of Virginia. Questo lavoro identifica nella meta-analisi di Glantz gravi errori metodologici che ne invalidano le conclusioni. In particolare Rodu e gli altri ne evidenziano tre: sono stati raggruppati in un unico quadro di rischio esiti sanitari non correlati, fra cui la disfunzione erettile e gli eventi cardiovascolari fatali; sono stati inclusi studi trasversali privi di dati chiari su quando è iniziato l’uso della sigaretta elettronica rispetto all’insorgenza della malattia; non si è tenuto conto dei cambiamenti nelle abitudini di fumo o svapo durante gli studi longitudinali, violando i principi fondamentali di causalità. “Concludiamo – scrivono gli autori – che Glantz e gli altri autori non hanno soddisfatto i criteri di base per la qualità degli studi di origine; i risultati della loro meta-analisi non sono validi”.
Il 13 maggio su Harm Reduction Journal è stato pubblicato un altro studio che si è preso la briga di esaminare l’accuratezza delle conclusioni della meta-analisi di Glantz, con particolare attenzione all’infarto del miocardio, l’ictus e la Bpco. Il lavoro si intitola “Comparing smoking-related disease rates from e-cigarette use with those from tobacco cigarette use: a reanalysis of a recently-published study” e gli autori sono Peter Lee di P.N.Lee Statistics and Computing Ltd e il cardiologo greco Konstantinos Farsalinos delle Università dell’Attica Occidentale e di Patrasso. I due hanno utilizzato i dati estratti in modo appropriato dagli studi inseriti nella meta-analisi per diagnosi valide e hanno calcolato i rischi per svapatori e fumatori per le tre patologie citate. Nonostante l’alto rischio di bias (la distorsione dei risultati dovuta al pregiudizio, ndr) riscontrato dagli autori, i dati dimostrano un rischio significativamente ridotto per chi svapa, simile o inferiore a quello che ci si aspetta da chi ha smesso di fumare da 5-10 anni. “Un dato altamente rilevante – si legge nel lavoro – dato il breve periodo di svapo dopo un’esperienza precedente con il fumo per la maggior parte dei partecipanti allo studio”.
Gli autori notano, inoltre che gli studi inseriti nella meta-analisi erano trasversali e dunque non riportavano dati sulla “causalità inversa” (cioè se qualcuno era passato al vaping dopo la diagnosi di malattia), né su abitudini di fumo e svapo presenti e pregresse. Solo tre studi su 107, infatti, avevano escluso i casi in cui la malattia si era manifestata prima che si iniziasse a usare la sigaretta elettronica. “L’affermazione della meta-analisi originale secondo cui gli studi presentavano un basso rischio di bias si dimostra errata – scrivono gli autori – e persino i dati distorti suggeriscono che il passaggio alle sigarette elettroniche possa ridurre il rischio di malattia in modo simile a smettere. I bias possono anche spiegare il rischio leggermente più elevato osservato in coloro che fumavano e svapavano rispetto a coloro che fumavano esclusivamente. Dati imparziali molto limitati non hanno rilevato alcun effetto significativo dello svapo sulle patologie considerate”. “Sebbene siano urgentemente necessari ulteriori studi approfonditi – concludono Lee e Farsalinos – le conclusioni di Glantz et al. non sono supportate dalle prove attualmente disponibili”.
Vedremo se questi interventi porteranno il New England Medical Journal a ritirare la meta-analisi di Glantz, come già accaduto in passato per un altro suo studio sulla sigaretta elettronica. Di certo queste vicende non danno lustro alla ricerca e aumentano la disinformazione sulla riduzione del danno. “Studi imperfetti come questo – commenta il presidente dell’associazione dei produttori di sigarette elettroniche europea Ieva, Dustin Dahlmann – hanno tratto in inganno i decisori politici e l’opinione pubblica, ostacolando l’accesso alla riduzione del danno per milioni di fumatori in tutta Europa. Una regolamentazione basata sull’evidenza è essenziale”.

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