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Accise e sigarette elettroniche: l’Italia dice no alla linea dura dell’Europa

La Camera solleva dubbi di sussidiarietà e proporzionalità sulla proposta di direttiva europea sull'armonizzazione delle accise sul tabacco (Ted)

La Camera dei Deputati ha espresso un parere motivato di non conformità alle proposte di direttiva europea 580/2025 e 581/2025 che intendono ridefinire la struttura e le aliquote delle accise sul tabacco e sui prodotti correlati, estendendole anche alle sigarette elettroniche, al tabacco riscaldato e alle bustine di nicotina. È una presa di posizione che si inserisce con forza nel dibattito europeo su come bilanciare le esigenze di salute pubblica, l’armonizzazione fiscale e la salvaguardia delle economie nazionali.
L’iniziativa della Commissione europea parte da una premessa difficilmente contestabile: il quadro normativo vigente non è più adeguato né a garantire il corretto funzionamento del mercato interno né a tutelare la salute dei cittadini. Il piano europeo di lotta contro il cancro, nel quale la riforma si inserisce, riconosce nella tassazione del tabacco uno strumento potente per ridurre la diffusione del fumo e scoraggiare l’iniziazione tra i giovani. Tuttavia, come osservato dalla XIV Commissione della Camera dei deputati, la direzione imboccata da Bruxelles rischia di essere tanto virtuosa nelle intenzioni quanto miope nella concretezza dei suoi effetti.
Il Parlamento italiano condivide l’obiettivo di un’Europa più sana e di una fiscalità più coerente, ma contesta un approccio giudicato squilibrato e sproporzionato. A preoccupare non è solo la misura dell’aumento delle accise, ma la filosofia stessa che ne ispira la struttura: un modello rigido, calato dall’alto, che non tiene conto delle profonde diversità economiche e produttive tra gli Stati membri. L’Italia, ad esempio, è un caso emblematico. Il suo comparto del tabacco è tra i più articolati e avanzati d’Europa, capace di coniugare tradizione agricola e innovazione industriale. Dalla coltivazione alla trasformazione, fino alla distribuzione dei prodotti finiti, la filiera italiana rappresenta un ecosistema economico di grande rilevanza, che contribuisce ogni anno con circa 15 miliardi di euro al gettito erariale tra Iva e accise.
Una revisione fiscale troppo brusca rischierebbe di minare l’equilibrio di questo sistema, con effetti devastanti sull’occupazione, sulla competitività e sulla sostenibilità delle piccole e medie imprese che operano nel settore. La Commissione europea, secondo il Parlamento italiano, avrebbe sottovalutato tali conseguenze, affidandosi a valutazioni d’impatto incomplete e a previsioni economiche che non tengono conto della complessità dei mercati nazionali.
Altro punto critico riguarda l’estensione della tassazione a nuove categorie di prodotti. Se è giusto che la fiscalità si adatti all’evoluzione tecnologica e ai nuovi comportamenti di consumo, appare discutibile l’equiparazione fiscale tra prodotti radicalmente diversi sotto il profilo chimico, tecnologico e comportamentale. Assimilare il tabacco tradizionale alle sigarette elettroniche o ai dispositivi a tabacco riscaldato, senza riconoscerne la diversa natura e i differenti profili di rischio, rischia di compromettere le strategie di riduzione del danno che molti Paesi hanno adottato con convinzione e prudenza.
C’è poi un tema di metodo e di legittimità istituzionale. La proposta attribuisce alla Commissione europea un potere di delega molto ampio, persino sulla possibilità di modificare le aliquote minime senza passare dal Consiglio. È un punto che tocca la sostanza della sovranità fiscale degli Stati membri e che il Parlamento italiano considera incompatibile con i principi sanciti dal Trattato sul funzionamento dell’Unione.
Non meno rilevante è la questione del mercato illegale. Un aumento repentino e generalizzato delle accise rischierebbe di incentivare contrabbando e falsificazioni, già oggi in crescita in diversi Paesi europei. Il risultato sarebbe un paradosso: meno entrate fiscali per gli Stati, più profitti per le reti criminali, e un peggioramento complessivo della tutela della salute pubblica.
La posizione italiana non è di chiusura, ma di cautela. Il Parlamento chiede di riconsiderare il perimetro e i tempi della riforma, introducendo flessibilità e periodi transitori che consentano agli operatori economici di adattarsi progressivamente. Allo stesso tempo, propone di rafforzare i meccanismi di tracciabilità e di controllo, anche digitali, per contrastare il commercio illecito, e di destinare una quota del gettito fiscale a campagne di informazione e programmi di prevenzione, in particolare rivolti ai giovani.
Il messaggio politico è chiaro: l’armonizzazione non deve diventare omologazione. L’Europa deve saper conciliare la tutela della salute con la valorizzazione delle specificità economiche e produttive dei suoi Stati membri. La sfida, come spesso accade, non è scegliere tra salute e impresa, ma costruire una politica fiscale capace di sostenere entrambe. L’Italia, in questo senso, non si limita a difendere un settore strategico: rivendica un principio di equilibrio e realismo che dovrebbe guidare ogni decisione europea in materia economica e sociale.

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