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Oms, riduzione del danno o dogma del divieto? L’errore strategico sulle sigarette elettroniche

L’organizzazione continua inoltre a escludere le sigarette elettroniche dalla categoria dei prodotti di riduzione del rischio per la separazione concettuale tra “tobacco use” e “nicotine use”: una forzatura metodologica che distorce la lettura epidemiologica.

Il nuovo rapporto dell’organizzazione mondiale della sanità sulle tendenze globali del consumo di tabacco 2000–2030 conferma un paradosso che si ripete da anni: mentre i dati mostrano un calo costante del fumo combusto, l’Oms continua a rifiutare di considerare le sigarette elettroniche e gli altri dispositivi a rilascio di nicotina come strumenti legittimi di riduzione del danno. La posizione ufficiale rimane ancorata alla logica del divieto e dell’astinenza, ignorando il potenziale di questi prodotti nel contribuire al raggiungimento degli stessi obiettivi che l’organizzazione dichiara di perseguire.

Il frontespizio del rapporto Oms sull’uso di prodotti del tabacco

Nel documento, l’Oms stima che nel 2022 il 20,9% della popolazione mondiale adulta facesse uso di tabacco, con una prevalenza del 34,4% tra gli uomini e del 7,4% tra le donne. Ciò equivale a circa 1,25 miliardi di utilizzatori, di cui oltre 990 milioni fumatori di prodotti a combustione. Nonostante il numero globale di fumatori sia in calo – 1,04 miliardi nel 2010 contro 1,02 miliardi nel 2022, con proiezioni in discesa fino a circa 1 miliardo nel 2030 – il ritmo del declino è insufficiente per centrare l’obiettivo di riduzione del 30% entro il 2025 fissato dall’Oms stessa. Le proiezioni indicano infatti una diminuzione del 25% rispetto al 2010, con un tasso medio annuo di riduzione compreso tra lo 0,3 e lo 0,4%.
Alla luce di questi dati, il rifiuto dell’Oms di considerare la riduzione del danno come parte integrante delle politiche antitabacco appare ancora più ingiustificato. Nella sezione dedicata agli “electronic nicotine delivery systems”, l’organizzazione afferma di non poter produrre stime affidabili sull’uso delle sigarette elettroniche per la carenza di dati comparabili tra i Paesi. Tuttavia, questa mancanza di evidenze è in gran parte conseguenza delle stesse politiche restrittive e dell’assenza di monitoraggio sistematico promossi dall’Oms. È un circolo vizioso che impedisce di comprendere appieno l’impatto di prodotti che, in contesti come la Svezia, il Regno Unito, la Nuova Zelanda, hanno già mostrato di favorire una significativa riduzione dei fumatori tradizionali.
L’organizzazione continua inoltre a escludere le sigarette elettroniche dalla categoria dei prodotti di riduzione del rischio, pur riconoscendo che esse non contengono tabacco e che il loro impiego non implica combustione. Questa separazione concettuale tra “tobacco use” e “nicotine use” è una forzatura metodologica che distorce la lettura epidemiologica: milioni di persone hanno abbandonato il fumo di sigaretta grazie a prodotti alternativi che erogano nicotina in modo meno nocivo, ma il rapporto li esclude dalle statistiche di successo delle politiche di riduzione del fumo.
Secondo il documento, solo 56 Paesi nel mondo sono attualmente sulla buona strada per raggiungere l’obiettivo del 30% di riduzione del consumo di tabacco entro il 2025, mentre 94 registrano un calo inferiore a tale soglia e 6 addirittura mostrano un aumento della prevalenza. Questi dati dimostrano che le politiche tradizionali – basate su tasse, divieti e campagne di sensibilizzazione – non bastano più. Continuare a ignorare strumenti complementari come le e-cigarette significa accettare implicitamente che centinaia di milioni di fumatori restino esposti ai danni del tabacco tradizionale.
La contraddizione è evidente anche dal punto di vista scientifico. Numerosi studi indipendenti, molti dei quali riconosciuti da enti pubblici di Paesi avanzati, hanno stimato che il rischio relativo associato all’uso delle sigarette elettroniche è inferiore di oltre il 90% rispetto al fumo tradizionale. Eppure, il rapporto Oms non dedica neppure un’analisi comparativa dei rischi tra i due modelli di consumo, limitandosi a sottolineare i potenziali pericoli delle e-cigarette in assenza di dati di lungo periodo.
Questa impostazione ideologica finisce per tradursi in un danno sanitario concreto. Paesi che seguono rigidamente le raccomandazioni dell’Oms tendono a regolamentare le sigarette elettroniche come prodotti del tabacco, scoraggiando il loro impiego tra i fumatori adulti e favorendo il mercato nero. L’effetto è controproducente: si rallenta la discesa della prevalenza, si riduce la possibilità di dissuadere i fumatori irriducibili e si perde un’occasione storica per incidere realmente sulle morti tabacco-correlate.
In definitiva, il rapporto fotografa un mondo che sta smettendo di fumare troppo lentamente e un’organizzazione che, pur denunciando l’urgenza del problema, rifiuta di utilizzare tutti gli strumenti disponibili per risolverlo. Finché la riduzione del danno resterà esclusa dal lessico politico della salute pubblica globale, la lotta al tabacco rimarrà incompleta. Le sigarette elettroniche non saranno forse la soluzione universale ma ignorarle è ormai un atto di miopia istituzionale.

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