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Coil e fili complessi per massimizzare la densità aromatica

(tratto dalla rivista bimestrale Sigmagazine #10) Nel vaping, tutto è partito da semplici prodotti che nella forma e nella tipologia volevano traghettare i consumatori dal tabagismo a un’alternativa più salubre. Un mercato fatto di soli atomizzatori a testine, di batterie “a penna” e di liquidi basati su singoli aromi. Man mano che gli atomizzatori si evolvevano nelle componenti e nel funzionamento, l’elemento riscaldante si faceva più differenziato e personalizzato, fino al sopraggiungere dei cosiddetti atomizzatori “rigenerabili”, dove la testina lascia il posto a uno spazio vuoto apposito, in cui l’utente andrà a installare una resistenza fatta a mano da lui stesso o da professionisti del settore. È proprio qui che la complessità delle resistenze ha trovato il modo di esprimersi al top. Precisiamo innanzitutto che anziché parlare di complex coil, è più logico parlare di fili complessi, o complex wires, da cui si ricaveranno poi le resistenze in questione. Detto ciò, la nascita di questa particolare tipologia di filo per rigenerare è la risposta al tentativo di massimizzare la densità aromatica senza ricorrere a molteplici coil. Questo concetto è molto importante per capire poi il senso dei complex wires e di tutta la filosofia di rigenerazione retrostante. Di fatto, quando un atomizzatore funziona bene e piace al pubblico, i fattori frequentemente nominati sono la tipologia di tiro, la resa aromatica e la quantità di vapore prodotto. Tralasciando il primo punto, che dipende strettamente dalla conformazione dei canali dell’aria, le altre due caratteristiche derivano da una combinazione tra la struttura dell’atomizzatore e il funzionamento più o meno efficace ed efficiente della resistenza. Una abbondante quantità di vapore e una elevata resa aromatica aumentano la densità aromatica che, fisicamente parlando, si traduce in una maggiore vaporizzazione di liquido e quindi un’aumentata percezione del gusto. Un altro aspetto che ne deriva è la produzione di nuvole più abbondanti ed appaganti. In tutto questo, un parametro fondamentale da tenere sotto controllo è la temperatura della resistenza, che non deve in alcun modo surriscaldarsi, sia per le diverse ragioni legate alla salute, ma anche per non degradare le molecole di aroma più termolabili. Si è quindi partiti dall’idea di ottenere un filo in grado di dissipare efficacemente il calore e che fosse sufficientemente capillare da vaporizzare abbondanti quantità di liquido nel minor tempo possibile. Con questi presupposti è nato il filo “clapton”, che è il più semplice dei fili complessi. Si tratta sostanzialmente di un filo a sezione rotonda, chiamato “core”, cioè nucleo, avvolto da un filo più sottile, detto “wrap”, sempre a sezione tondeggiante, le cui spire sono a contatto l’una con l’altra, andando quindi a formare una sorta di “corda di chitarra”, struttura questa che dà il nome al filo stesso, omaggiando il celebre chitarrista. Da questo primo filo complesso, le migliorie e le elaborazioni hanno riguardato il numero, la tipologia e la disposizione di wrap e core. È quindi nato il “fused clapton”, in cui il filo che fa da nucleo viene aumentato di numero, raddoppiandolo, triplicandolo e così via. Anche il wrap, cioè il rivestimento esterno ha subìto modifiche e rielaborazioni, portando alla nascita dell’alien, di fatto un filo fused clapton con un wrap ondulato, così da aumentare la lunghezza a parità di spazio occupato. La struttura staggered ha introdotto l’idea di realizzare il core utilizzando più fili clapton semplici, che a loro volta presentano un wrap spaziato, tra le cui spire si posiziona il wrap esterno. Questa soluzione chiaramente massimizza le intercapedini e quindi la ritenzione di liquido. Il cambio del core, con l’utilizzo del filo ribbon, ha portato alla nascita dello “staple”, ottenuto appaiando vari fili piatti e procedendo poi con l’usuale avvolgimento esterno. Lo “staple framed” ha chiuso il cerchio, portando all’aggiunta di due fili laterali per dare più robustezza alla struttura. Potendo quindi combinare l’ondulazione del wire alien, con la struttura interna dello staple e del fused, si è arrivati alla creazione di diverse combinazioni, ad esempio l’“alien staple framed”, detto anche fralien, o il “fused staple framed”. La scelta di un filo anziché un altro dipende sostanzialmente dalla preferenza soggettiva e dalla tipologia di atomizzatore. Tutti questi complex wires sono infatti nati originariamente per l’uso su dripper in meccanico, grosso modo quattro anni fa, prevedendo quindi un’abbondante presenza di liquido e un flusso di aria massivo. Negli ultimi due anni circa, a causa del notevole successo che questa tipologia di fili ha ottenuto sugli atomizzatori più spinti e polmonari, i builders hanno iniziato a costruire fili complessi di dimensioni ridotte, per soddisfare le richieste dei vapers “di guancia”, cioè tutta quella fetta di utenza che predilige un tiro più chiuso. La peculiarità, che come detto in precedenza risiede nella elevata aromaticità e nella abbondante produzione di vapore, si può infatti ben sposare anche con un tiro più contrastato, tenendo conto delle dovute proporzioni rispetto ai fratelli maggiori più ariosi. A differenza di quanto comunemente si può essere portati a credere, non è infatti necessariamente vero che nuvole dense e abbondanti siano per forza scarsamente aromatiche, così come non è vero che il famoso flavour chasing escluda per forza la presenza di cloud chasing. Chiaramente i diversi materiali utilizzati per la realizzazione delle coil complesse possono influenzare la resa organolettica. Questo ha portato all’utilizzo di Nichel 80, acciaio inox 316 e Kanthal A1, che di base rispondono diversamente alle potenze in gioco e che hanno quindi come effetto finale per l’utente una differente restituzione aromatica. Sembrerebbe quindi che i complex wires siano la panacea e la miglioria di ogni atomizzatore, ma ovviamente non è così. I principali limiti riguardano l’utilizzo su atomizzatori molto strozzati e su deck particolarmente piccoli, che richiederebbero dei fili eccessivamente sottili per poterne avere un reale beneficio. Il risultato finale sarebbe, quindi, un surriscaldamento anomalo, con il relativo profilo di pericolosità dal punto di vista medico e con una qualità aromatica estremamente ridotta, per non dire scadente. L’utilizzo di un filo complesso va infatti ben ponderato in fase di rigenerazione: uno non vale l’altro, e non tutti possono essere utilizzati su ogni atomizzatore. Una buona messa a punto richiede la conoscenza del proprio hardware e una corretta valutazione delle peculiarità di ogni filo, operazione, questa, che può essere effettuata per proprio conto, se si ha la conoscenza necessaria, o che può essere svolta dal builder in fase di realizzazione personalizzata per i diversi utenti. Il mancato rispetto delle caratteristiche intrinseche del filo o dell’atomizzatore può portare a un paradossale crollo aromatico o un aumentato calore in fase di inalazione. O, addirittura, può generare l’errata convinzione che tra un filo complesso e un filo semplice non cambi nulla, conclusione questa che è semplicemente agli antipodi di ciò che è stato il motivo della nascita dei complex wires e che si scontra pesantemente con la realtà dei fatti, una volta configurato correttamente tutto il setup. Saper trovare il giusto filo per il giusto hardware può non essere immediato ma certamente, una volta che la scelta sarà fatta, tutta la complessità del filo si esplicherà nel modo più semplice e piacevole possibile, stuzzicando il palato del vaper.

Quella E che fa la differenza

(tratto da Sigmagazine bimestrale #5 novembre-dicembre 2017) A volte, dietro le parole che usiamo quotidianamente, si nasconde un mondo di tecnologia e complessità. Come ormai il marketing e la cultura di massa hanno insegnato, i dispositivi dedicati al vaping vengono colloquialmente denominati “sigaretta elettronica” o “ecig”, con quella “e” iniziale che in tanti altri termini dell’ambito hi-tech fa le veci di “electronic”. Forse non ci si fa nemmeno più caso tanto si è abituati a parlarne ma c’è una sottile, eppur fondamentale differenza tra elettrico ed elettronico. Stando alle definizioni più accademiche, ciò che cambia è l’intensità delle correnti in gioco e la loro frequenza, ma all’atto pratico quel che più concretamente differisce è la possibilità di elaborare e manipolare il flusso di cariche. In parole più semplici, nell’elettronica è possibile “dire” al dispositivo cosa fare, mentre al suo interno avviene una qualche forma di gestione del funzionamento, che non si limiti ovviamente al solo tasto di accensione e spegnimento. A volte l’interazione viene operata dall’utente finale, altre volte viene gestita dal costruttore che immetterà sul mercato un prodotto finito, sul quale non è possibile effettuare modifiche di alcun genere. Tutte le operazioni di gestione interna, che rendono un dispositivo elettronico tale, sono effettuate da un circuito, che soprattutto nel vaping gioca un ruolo cruciale. Se oggi abbiamo ecig dotate di funzionalità evolute, che spesso si traducono in una migliore esperienza per il consumatore, è principalmente per merito dell’elettronica con cui le moderne box vengono equipaggiate. La prima e più importante caratteristica di un circuito in una sigaretta elettronica è la possibilità di regolare la potenza. Inizialmente il mercato si è orientato sulla regolazione dei soli volt in uscita, realizzata grazie ai convertitori “buck boost”, per poi passare entro breve alla regolazione dei watt, più comoda per l’utente. Questa è una delle manipolazioni prima citate, che la scienza dell’elettronica permette di avere. Il valore di watt che viene visualizzato sullo schermo delle ecig non è infatti un valore misurato, ma è semmai un punto di partenza con cui il processore interno calcola i volt da inviare all’atomizzatore, per ottenere quella potenza richiesta. È un esempio tra i tanti, ma dà un ordine di grandezza di quanto il circuito possa incidere sull’utilizzo finale del dispositivo, che per il consumatore si traduce in una differente boccata, più o meno corposa, più o meno appagante. Lo stesso discorso vale per il valore di carica della batteria, il controllo della temperatura, l’orologio sullo schermo, i diversi menu navigabili tramite tasti o joystick, così come le protezioni e gli avvisi se la resistenza è in cortocircuito, in caso di batterie non abbastanza performanti o inserite in modo errato, per finire con le caratteristiche più nuove, come la connettività bluetooth verso lo smartphone, la possibilità di collegare la box al computer per poter programmare il tipo di erogazione, personalizzare lo sfondo del display e via dicendo. Tutte le funzioni che in qualche modo risultano “moderne”, o “tecnologiche”, hanno quindi un compartimento elettronico dedicato che permette di ottenerle, in contrapposizione ai dispositivi cosiddetti “meccanici”, che più propriamente andrebbero definiti “elettrici” e che infatti non modificano né elaborano la corrente. La conseguenza di tutto ciò è che ogni circuito ha un suo ben preciso modo di operare, arrivando a incidere anche sulle note aromatiche che l’atomizzatore produrrà. I circuiti non sono quindi tutti uguali, e anzi, nella scelta di un dispositivo potrebbero giocare un ruolo cruciale, a seconda del palato dell’acquirente. Concentrandosi sui circuiti top di gamma attualmente disponibili, la scelta ricade sicuramente sul trio composto da Evolv, YiHi e Dicodes. Ogni brand ha dato un proprio “stile” all’elaborazione del segnale elettrico e, a contorno di ciò, vi sono le diverse funzioni che caratterizzano ogni marchio. Senza addentrarsi in considerazioni che rischiano di sfumare nel soggettivo e attenendosi agli aspetti più prettamente tecnici, si può ritenere il DNA di Evolv un emblema della morbidezza di erogazione e dell’accuratezza in controllo di temperatura, che offre al contempo l’innovativa caratteristica dell’interfacciamento con il pc a un livello mai visto prima nel mondo del vaping. YiHi, con la serie SX, ha risposto offrendo un tipo di prodotto configurabile senza la necessità di un computer, puntando invece sulla personalizzazione dell’erogazione, permettendo comunque una gestione della temperatura di alto livello. Nel suo ultimo chip ha implementato la connettività Bluetooth verso lo smartphone, spostando quindi il concetto di “collegamento informatico” dal pc al telefono. Dicodes ha infine voluto puntare sulla precisione e ridotte dimensioni del circuito, inserendosi tra gli altri due concorrenti e strizzando comunque l’occhio alla piacevolezza dell’erogazione, senza trascurare l’accuratezza nel regolare i watt e nel rispettare i limiti di temperatura che l’utente impone. Ovviamente il mercato non si limita a questi grossi brand del settore, che hanno però il merito di aver introdotto negli anni le caratteristiche tecniche che ora possiamo trovare in tanti dispositivi di ogni fascia prezzo, contribuendo sicuramente a scrivere una parte di storia della sigaretta elettronica.

Il web, gioie e dolori del vaping

Tratto da Sigmagazine #4 – Settembre-Ottobre 2017 Internet è ovunque. È nei nostri telefoni, nei nostri computer, nei negozi, nei nostri conti bancari e negli acquisti che facciamo. Nato intorno agli anni Sessanta come progetto militare, ben presto diventò un sistema di interconnessione mondiale ad uso civile, fino ad essere, ai giorni nostri, parte integrante della nostra vita. L’evoluzione tecnologica della rete globale ha avuto ripercussioni dirette anche sulla vita delle persone. Ecco quindi che ci siamo abituati a consultare le nostre finanze tramite home banking o a guardare i risultati delle nostre analisi mediche direttamente nel database dell’ospedale, come se fosse sempre stato così, anche se andando indietro con i ricordi possiamo rivedere una realtà profondamente diversa da adesso. Online si incontrano persone, ci si innamora, si compra, si fa girare l’economia e si commettono anche reati. Uno dei punti interessanti è infatti questo: la rete, tecnicamente parlando, si è evoluta molto. Le persone, però, non sono state al passo e non si sono adattate allo stesso modo. Non tutte e non del tutto, almeno. Alcuni si comportano in rete come vorrebbero fare nel mondo reale, ma non possono; altri, invece, pensano di entrare in un mondo immaginario, dove le regole di quello reale sono attenuate. Fin dagli albori delle web community si è, infatti, assistito al bizzarro comportamento di alcuni utenti che una volta “connessi”, modificavano anche radicalmente la loro interazione col prossimo. Offese, minacce, bullismo e sarcasmo gli ingredienti principali di questa sorta di distorsione comportamentale, al punto che in tempi recenti si è arrivati a parlare e legiferare riguardo al “cyberbullismo”. Forse la rete fa sentire protetti o forse il linguaggio scritto, all’interno di un candido riquadro dotato di tasto “rispondi”, aiuta a disinibirsi rispetto a un paio di occhi da dover fissare quando si parla di persona, faccia a faccia. I fenomeni appena descritti sono ben conosciuti dagli amministratori e dai moderatori dei gruppi sociali sul web e sono appunto il sintomo di un’evoluzione umana tutt’altro che completa e adeguata, rispetto a quella tecnologica dello strumento informatico in questione. In altre parole, abbiamo creato una copia virtuale del nostro mondo reale attraverso l’online ma non siamo ancora riusciti completamente a creare una copia virtuale di noi stessi, fedele a ciò che di solito siamo. La sigaretta elettronica è nata in questo contesto. Possiamo fissare l’esordio dei vaporizzatori personali intorno al 2009 ma l’anno di debutto tra il grande pubblico è probabilmente il 2012, fase in cui la banda larga era ormai una realtà nazionale e la connettività mobile era nelle mani di chiunque. Le prime discussioni approfondite sul vaping sono nate nei forum a tema e senza dubbio la rete è stata il canale preferenziale per il passaparola di molti creatori artigianali, che negli anni sono poi diventati veri e propri produttori di hardware ed eliquids. Via via i forum sono stati sostituiti dai social network, di cui la “grande F” è forse l’esempio più famoso. Questo ha messo in luce tutti i limiti che il mancato adattamento umano ha portato con sé. Le piattaforme social hanno infatti alcune caratteristiche ideali per il mondo del vapore elettronico e sono altrettanto accondiscendenti verso le umane debolezze: sono diffuse in ogni categoria di individui, giovani in particolare, e sono immediate e popolari. Grazie ad esse la natura umana applicata ad internet ha potuto manifestarsi appieno. Si è quindi potuto assistere a infime diatribe che, con la pretesa di essere discussioni tecniche, hanno preso più che altro la forma delle guerre di religione. A seguire c’è stata la creazione di gruppi a tema. Coalizioni di persone, accomunate dalla medesima opinione su un determinato dispositivo o atomizzatore o dall’intolleranza verso altre opinioni su un certo argomento. Nell’osservare tutto ciò a mente lucida, non si può che rivedere il classico comportamento ben descritto nei libri di storia riguardo agli albori dell’umanità, quando i clan e le tribù erano la realtà sociologica per eccellenza. Il bello, si fa per dire, è che a volte il comportamento degli amministratori di questi gruppi ha ricalcato i medesimi errori visti in passato tra i sovrani e i gerarchi delle nazioni o degli imperi. Lotte di potere per essere al vertice del gruppo virtuale o esclusioni sommarie tramite ban dalla comunità ci sono state e probabilmente continueranno ad esserci in queste realtà, anche al di fuori del vaping, quasi si stesse assistendo alla riconversione informatica degli errori umani commessi in passato da persone troppo incapaci o troppo deboli per poter intraprendere l’azione giusta al momento giusto. Anche le litigate tra operatori del vaping stanno diventando una sorta di gossip a cui la rete ci sta abituando. Qui le polemiche si fanno a suon di post e di commenti sulle bacheche proprie o altrui, e l’argomento può essere tanto la legittimità di un liquido, quanto la bontà dei prodotti che l’avversario vende. La disinibizione dei pensieri coinvolge anche il settore dei negozianti, che con l’argomento “online” hanno spesso avuto un rapporto molto controverso, vedendolo come una sorta di minaccia per i negozi su strada e a volte auspicando una chiusura più o meno legiferata delle attività che vendono usando internet come bacino di clientela. Chissà se nell’augurarsi tutto ciò ci si è mai fermati a riflettere sul fatto che gli stessi grossisti siano negozi online e su tutte le conseguenze che un’eventuale chiusura implicherebbe. Quella fatta finora sembra la descrizione di un’arena di gladiatori, pervasa di cattiverie, ingiustizie e azioni dettate dall’irrazionalità. Fortunatamente internet per il vaping non è solo questo, anzi, probabilmente le note positive superano quelle poche negative, che però fanno sempre parlare più di sé. Il web ha sostanzialmente permesso la diffusione e la difesa del vapore elettronico, oltre a fornire anteprime e notizie in tempo reale per tutti gli appassionati. Quasi tutte le aziende, italiane o estere, hanno sui social almeno una pagina, tramite la quale ricevono valutazioni, consigli e sponsorizzano i propri prodotti. Tutto questo rientra in un più grande piano di social media marketing che nell’economia “vecchio stampo” sarebbe semplicemente stato impossibile da attuare. A tal proposito, si iniziano a vedere i primi passi per regolamentare ciò che finora è stato gestito dal senso comune o dalla correttezza professionale. Da una parte c’è l’Antitrust, che ha iniziato a tenere sott’occhio le pubblicità occulte fatte tramite foto su social network, e dall’altra parte abbiamo Instagram, celebre piattaforma ora acquistata da Facebook, che si sta attrezzando per contrassegnare con un apposito hashtag i contenuti in cui ci sia una collaborazione commerciale, al fine di tutelare i propri utenti e rendere espliciti i rapporti commerciali altrimenti mascherati da quotidiana routine immortalata nelle diverse immagini caricate online. Internet ha quindi influenzato il mondo del vaping? Decisamente sì e si può dire con buona ragione che sia stato il substrato su cui tutta la comunità di hard vapers ha potuto promuovere e portare avanti la filosofia del vapore. Ovviamente non sono mancati gli episodi poco edificanti ma, come in tante vicende che viviamo in epoca moderna, il problema non risiede solo nello strumento ma anche nell’utilizzatore. Non appena gli utenti comprenderanno fino in fondo che il web non è un’astrazione ma siamo noi, avremo probabilmente un atteggiamento umano perfettamente in linea con l’evoluzione della rete stessa. © Best Edizioni – Riproduzione riservata