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Sigarette elettroniche, Salvini: “O governo fa dietrofront o sarà disastro”

"Se ho un problema di salute vado dal medico, non dal macellaio. E quando entro in tabaccheria so che lo sto facendo per farmi del male". Non usa mezzi termini Matteo Salvini, leader della Lega, a commento delle dichiarazioni del presidente della Fit pubblicate su La Voce del Tabaccaio. Contattato telefonicamente da Sigmagazine, Salvini ha espresso incredulità per quanto sta accadento a livello parlamentare. "La scelta politica del governo rischia di fare disastri su tre fronti. Il primo è sul lavoro, mettendo a repentaglio il futuro di migliaia e migliaia di persone. E molti di questi sono giovani che si sono inventati un futuro avendo la lungimiranza di puntare su un settore nuovo ed in piena espansione. Il secondo fronte è quello della salute perché la sigaretta elettronica disincentiva un'abitudine altamente nociva. Il terzo fronte è quello dello Stato perché se oggi incassa qualche briciola, domani su larga scala ci rimetterà e non poco. Diminuirà, e in alcuni casi si azzererà, il consumo, il numero delle aziende, il fatturato, il lavoro e, di conseguenza, gli introiti erariali". Secondo lei cosa o chi c'è dietro questa scelta politica? "Bella domanda. Non ho una risposta certa ma solo un dubbio: chi ha paura della crescita di questo settore? E sono spinto a pensare che siano le multinazionali del tabacco che non ammettono concorrenza, merito e competizione". Come prevede di muoversi? "Sin da subito voglio sentire una presa di posizione chiara da parte del Ministero della Salute. Vorrei capire come è possibile che uno strumento, che è scientificamente provato che fa meno male, abbia una tassazione se non superiore almeno pari a quella del tabacco. Un ragazzo che si trova a dover spendere 10 euro al giorno per un liquido tornerà immancabilmente alle sigarette. L'aspetto buffo è che le aziende non stanno dicendo che non vogliono pagare le tasse. Stanno solo dicendo che lo Stato esagera chiedendo 4,5 euro ogni flacone. E non posso che dar loro ragione". Se il fisco porterà avanti la rischiesta di incassare la tassa pregressa, anche quella sospesa dal Tar, si prevede la chiusura di gran parte delle aziende. "E il risultato sarà che l'Italia diventerà terra di conquista da parte delle aziende straniere. Anche in questo settore il Governo si dimostrerà così bravo da agevolare gli stranieri che potranno cominciare a lavorare partendo da zero, al contrario delle nostre aziende che invece saranno chiamate a pagare scelte non loro".

Il paradosso delle e-cig: in Italia la scienza non conta nulla

Si chiama strumento di riduzione del danno. Lo dice la scienza. Eppure l'Italia riesce a ribaltare il punto di vista e sferrare contro la sigaretta elettronica un attacco coordinato senza precedenti. Corte Costituzionale e governo hanno - scientemente, permetteteci - strozzato un settore che in pochi anni stava dando risultati certi e credibili in ottica di sanità pubblica. La Corte Costituzionale è fatta da uomini che in quanto tali sono fallibili. E le motivazioni scritte in sentenza lo dimostrano. Non tanto per i contenuti giuridici, che non abbiamo mezzi nè competenze per confutare, ma sulle basi scientifiche e fattuali che sono state utilizzate per scrivere la sentenza. I giudici della Corte hanno definito la sigaretta elettronica uno strumento che introduce al fumo. Una falsità confutata dalla scienza. La sigaretta elettronica è definita, al contrario, uno strumento di riduzione del danno. La ricerca scientifica dimostra che è del 95 per cento meno dannosa della sigaretta tradizionale. Non a caso, il sistema sanitario del Regno Unito la consiglia ai fumatori che vogliono abbandonare la dipendenza dal tabacco. Stiamo parlando di una delle più evolute democrazie occidentali, il Regno Unito. Non lo Zimbabwe o la Corea del Nord, Paesi che invece tanto piacciono all'Organizzazione mondiale della sanità che li eleva addirittura ad esempi da seguire per il resto del mondo. Se a questa interpretazione abbiniamo il colpo di spugna da parte del governo italiano nei confronti dell'hardware e dei liquidi che negli ultimi anni hanno consentito l'uitlizzo di livelli bassisimi di nicotina, ecco che il patatrac è servito. Perché diciamo questo? Perché con la supertassazione dei liquidi senza nicotina e degli aromi, diventaranno costosissimi i sistemi aperti da tiro di polmone. Come sanno tutti gli utilizzatori, sono sistemi che consumano circa 20 millilitri di liquidi al giorno, che  significherebbe dover pagare 10 euro soltanto di tassa, a cui si aggiunge il costo del prodotto. Oltre a cadere, quindi, la forte motivazione del risparmio, per molti svapare sarebbe più costoso che fumare. Rimarrebbero in circolazione soltanto sistemi chiusi o sigarette elettroniche entry-level con coil da 1,5 ohm. Le stesse che non hanno mai abbandonato le vetrine delle tabaccherie e gli shop online delle multinaizonali del tabacco. In sostanza, un passo indietro di almeno tre anni. Il rivenditore specializzato dovrà puntare l'intero suo business nella compravendita di sistemi chiusi, cercando di spiegare al consumatore che quello che si è fatto fino a ieri era tutto sbagliato. Che anche se è riuscito ad arrivare a utilizzare liquidi senza nicotina, ora deve pagare ugualmente la tassa se vuol continuare a svapare a zero.  Che se vuole utilizzare un aroma dovrà altrettanto pagare la tassa. Ma, soprattutto, che deve ricominciare ad usare sigarette elettroniche di vecchia generazione e tornare ad aumentare il livello di nicotina del liquido. Una situazione che, se non coinvolgesse migliaia di lavoratori e milioni di consumatori, si potrebbe definire surreale e ridicola. Invece, proprio per questo, possiamo definirla drammatica.

Tutti uniti, tutti insieme: se non ora, quando?

La tensione è alta. E cresce di ora in ora. Tra i negozianti c'è rabbia per le decisioni governative e giuridiche, tra i consumatori sgomento per la percezione di un'ingiustizia senza precedenti. La sigaretta elettronica è lo strumento che ha consentito a milioni di persone di smettere di fumare o di ridurre sostanzialmente il consumo di tabacco. In breve di provare sulla propria pelle cosa significa tornare ad avere la piena funzionalità delle vie respiratorie. I commercianti, circa 2500 in Italia, sono allo sbando. All'inseguimento di notizie o di suggerimenti su cosa poter fare per rimarginare una ferita che a breve potrebbe dissanguarli. Silenzio da parte dei produttori riuniti sotto il simbolo di Anafe-Confindustria. Nonostante riunioni interne, con la Federazione dei Tabaccai e con l'Agenzia dei Monopoli, nessuno ha fatto trapelare notizie. D'altronde, visti i diversi interessi aziendali degli associati, non poteva che andare così. Tra chi ha puntato tutto sulle cigalike e chi invece distribuisce online, tra chi ha una catena di negozi, chi produce liquidi e chi prevalentemente aromi, in questa fase è difficile trovare una sinergia. E i negozianti questo clima di tensione lo stanno sentendo e vivendo sulla propria pelle. Alcuni stanno cercando di organizzarsi in gruppi territoriali. È successo nelle Marche, succederà in Puglia, in Campania, in Piemonte, in Calabria. Riunioni di esercenti di vicinato sino all'altro giorno concorrenti, oggi colleghi che cercano una via d'uscita per fare gruppo e non soccombere in solitaria sotto i colpi organizzati dallo Stato. Ma ci sono anche i tabaccai in questa partita. Un'altra forma di commerciante, sicuramente più coperto, che ha visto nel vaping una possibilità di incremento di fatturato. E, perché no, una via d'uscita dalle grinfie del Monopolio. A Roma come a Firenze, a Torino come a Bari, molti tabaccai hanno organizzato un corner di prodotti per lo svapo. Utilizzano la stessa rete distributiva degli specializzati, qualcuno ha anche simile competenza. Non è solo il guadagno che li guida (l'incasso della vendita di un flacone di liquido equivale a non meno di sei pacchetti di sigarette), spesso è anche la consapevolezza che il futuro è fatto di vapore e non di fumo. Ma ora anche loro vedono le stesse limitazioni e strozzature. I loro gruppi social sono in ebollizione, considerano quanto avvenuto in Parlamento prima e in Corte poi un attacco alla libertà di commercio. Per la prima volta gli associati della Fit stanno dimostrando malcontento nei confronti dei vertici della loro organizzazione sindacale. E se fosse arrivato il momento di unire le forze? Tutti insieme. Negozianti specializzati, consumatori, tabaccai, produttori, distributori per gridare all'unisono che il vapore non può essere monopolizzato. Che non si può strangolare un'economia che cresce a doppia cifra. Che non si può confondere uno strumento di riduzione del danno con il tabacco combusto. Che devono esserci regole, non vessazioni e imposizioni liberticide.

Perché lo Stato vuole mettere le mani sul vaping? Facciamo due conti…

Come si muore in Italia? Prima di tutto per malattie cardiovascolari, poi per neoplasie e quindi per malattie dell'apparato respiratorio. Dal 2005 ad oggi la forbice però si sta stringendo: l'innalzamento dell'età media sta portando a più decessi per danni alle vie respiratorie, passati dal 3,6 per cento al 7 per cento in dieci anni. Il fumo è la causa principale di tali malattie. Lo Stato spende ogni anno circa 7,5 miliardi di euro per curare pazienti affetti da queste patologie. Eppure, nonostante questo, lo Stato continua a incentivare la diffusione e la vendita dei tabacchi, sia attraverso punti vendita specializzati che presso corner in sale giochi e bar. Basterebbe ridurre il numero di sigarette per ridurre i decessi, si direbbe. Eppure non è così semplice. L'interesse di uno Stato cinico e monopolista che vive un periodo di sofferenza è cercare il cosiddetto male minore. Gli oltre 7 miliardi di euro destinati alla spesa sanitaria sono ampiamente recuperati dalle accise sui tabacchi. Facciamo due conti. Ponendo 5 euro il prezzo medio di un pacchetto di sigarette, il guadagno per il tabaccaio è 50 centesimi di euro, il 10 per cento del prezzo di vendita. Al fornitore vanno invece 70 centesimi. Tutto il resto va allo Stato sotto forma di accisa (2,90 euro più altri 0,90 di Iva). Insomma, per ogni pacchetto di sigarette venduto da un tabaccaio italiano, ben 3,80 euro prendono il volo con destinazione Roma: il 76 per cento del costo complessivo. Vuol dire che ogni anno grazie alle sigarette le casse italiane hanno un gettito in entrata garantito di almeno 15 miliardi di euro. Esattamente il doppio di quanto speso per curare i pazienti. Ma che, allo stesso tempo sta riducendosi un po' per il salutismo italiano, un po' di più a causa del vaping. E' in questo quadro che bisogna analizzare la volontà di assoggettare anche il vaping sotto il monopolio. Se da un lato si controlla l'intera filiera, dall'altro si ha la garanzia di un introito garantito. Il bilancio dello Stato non è ancora riuscito a capire a quanto ammonta il valore erariale della filiera delle sigarette elettroniche. Gli oltre 100 milioni preventivati nel 2015 non sono mai stati incassati. Previsione sbagliata frutto di numeri e dati errati oppure evasione ed elusione di produttori e negozianti? La risposta non è data sapere, forse entrambe le ipotesi. Certo è che 100 milioni di euro non sono nulla di fronte ai miliardi incassati dal tabacco. Ma nel lungo periodo, invece, diventerebbe fondamentale avere tra le mani un settore che potenzialmente è in grado di ridurre del 95 per cento i danni da fumo. Ecco allora che quei 7 miliardi legati alle cure sanitarie potrebbero ridursi in qualche decennio a soli 375 milioni di euro. Avendo però un'impennata delle entrate dovute alla tassazione su liquidi da inalazione, aromi e sigarette elettroniche che, mantenendo il trend di lungo periodo e dando seguito alle intenzioni delle multinazionali, potrebbe arrivare ad oltre 20 miliardi di euro. Soldi che, a quel punto, sarebbero netti. E tanti.

Sigarette elettroniche, lo straziante urlo di dolore di un intero settore

"Il 2 dicembre inauguro il negozio. Ho chiesto un prestito per aprirlo. Adesso cosa faccio?". "Dovrei firmare un contratto con un franchising, aiutatemi non so cosa fare". "Il medico mi ha detto che la sigaretta elettronica mi fa bene per l'asma però non potrò spendere 10 euro al giorno". "Ma davvero bisognerà pagare la tassa sui liquidi già venduti anche senza nicotina?". Sono solo alcuni dei messaggi di allarme e disperazione che ci sono pervenuti in poche ore. Da quando cioè la Corte costituzionale ha sentenziato che la tassa è legittima anche sui liquidi senza nicotina. Ma soprattutto che la decisione avrebbe valore retroattivo perché annulla la sospensione del tribunale amministrativo del Lazio. Se a questo si aggiunge l'iter normativo attualmente in Senato che prevede la gestione da parte del monopolio della distribuzione e delle vendita dei prodotti con nicotina e sigarette elettroniche, il quadro che ne risulta è presto detto: un settore imprenditoriale e commerciale rischia di essre spazzato via da un colpo di mano governativo. Centinaia di piccole e medie aziende, che danno da vivere direttamente o per indotto a circa 30mila persone, difficilmente riusciranno a sopportare una tale pressione fiscale e normativa. Persone che, spesso, sono già nella seconda fase della loro vita. Che magari avevano trovato nel vaping una rivincita, una seconda possibilità. E, sino a oggi, avevano dimostrato anche a loro stessi di potercela fare. Ma ci ha pensato lo Stato a uccidere sogni e speranze. E speriamo solo quelle. La sentenza della Corte costituzionale merita un discorso a parte. Le previsioni dicevano che la sentenza sarebbe stata pronunciata nel mese di gennaio. Invece, con tempistiche assolutamente inaspettate e sorprendenti, è stata pubblicata proprio all'indomani dell'infausto emendamento Vicari. Coincidenza? Forse. Tra le righe delle motivazioni si legge testualmente che "l'oggetto dell’imposizione non è più costituito dai «succedanei dei tabacchi lavorati», così come individuati dall’amministrazione. Esso, invece, è rappresentato dai «prodotti da inalazione costituiti da sostanze liquide», secondo la destinazione d’uso datane dal fabbricante. Non vi è più, quindi, uno spazio definitorio per l’amministrazione, alla quale spetta solo la determinazione, sulla base di criteri già individuati dalla norma di legge (prezzo medio e tempi di aspirazione), del procedimento tecnico teso ad individuare il quantitativo equivalente di sigarette su cui viene applicata l’imposta, nella misura di metà dell’accisa prevista per le sigarette tradizionali. In tal modo, quindi, non si ravvisano profili di criticità rispetto all’art. 23 Cost., risultando soddisfatti i requisiti costantemente sottolineati da questa Corte: la preventiva determinazione di sufficienti criteri e linee generali di disciplina della discrezionalità amministrativa". E aggiunge: "L’art. 62-quater, comma 1-bis, del d.lgs. n. 504 del 1995 ha effettuato una differenziazione ragionevole tra sigarette elettroniche e sigarette tradizionali, fondata, nell’esercizio della discrezionalità legislativa, sul diverso processo di assunzione del fumo elettronico e del fumo da sigarette tradizionali, quest’ultimo ritenuto più dannoso per la salute del consumatore. Per tale motivo, non a caso, l’imposta di consumo sui prodotti liquidi da inalazione è stata fissata in misura ridotta rispetto a quella prevista per i prodotti tradizionali da fumo, in virtù dell’assenza di combustione. Tale differenziazione dell’imposizione, come osservato, mancava nella disciplina censurata dalla sentenza n. 83 del 2015, ove l’imposta equiparata all’accisa sulle sigarette tradizionali, oltre che ai liquidi contenenti nicotina, si applicava anche agli aromi e addirittura alle parti meccaniche necessarie all’inalazione di tali liquidi. L’eliminazione di siffatta equiparazione, pertanto, fa venir meno l’irragionevolezza ravvisata nella previgente disciplina, mentre rientra nell’apprezzamento del legislatore adottare la medesima aliquota per liquidi nicotinici e liquidi solo aromatici". In altre parole: lo Stato ha il diritto di tassare una sostanza per la sua destinazione d'uso e non per la sua composizione. Ecco, dunque, la legittimità sui liquidi senza nicotina. Fa sorridere, però, sempre leggendo le motivazioni, che il vaping venga inteso come un traino verso il fumo tradizionale. Perché la scienza allora lo definisce "strumento di riduzione del danno"? Dovremmo forse d'ora in poi chiamare la sigaretta elettronica come "strumento d'ingresso al fumo?". Il Diritto, insomma, ribalta il paradigma scientifico. Il dato di fondo è che uno Stato, a prescindere dalle volontà ideologiche o gli schemi politici, dovrebbe tenere in altissima considerazione le conseguenze sulla vita quotidiana dei suoi cittadini. Il risultato di questo aberrante combinato disposto potrebbe essere la perdita di migliaia di posti di lavoro, la chiusura di centinaia di attività lavorative, la ripresa della vendita dei tabacchi perché, secondo le stime, un pacchetto di sigarette tornerebbe a costare meno di una ricarica per sigarette elettroniche. Ma forse non è un caso.

Emendamento Vicari, De Luca (PLI): “La libertà di mercato è a rischio”

E' stato tra le colonne della cosiddetta Prima Repubblica. Parlamentare italiano per tre legislature, europeo per una, sottosegretario alle Finanze con i governi Goria, De Mita, Andreotti, Amato e Ciampi.  Stefano De Luca, liberale negli anni di governo, liberale negli anni più bui, oggi è il presidente nazionale del Partito Liberale. Italiano. Apprendendo quando accaduto ieri in Senato, è intervenuto prontamente nel dibattito, condannando la scelta monopolistica del governo. "La corsa ad inseguimento della legge di stabilità, da un lato è infarcita di norme clientelari, dall'altro cerca di recuperare entrate a favore dell'erario riducendo sempre più la libertà dei cittadini e inserendo sempre ulteriori divieti. L'emendamento, che cerca di contenere la vendita di apparecchi elettronici e liquidi di ricarica con nicotina per coloro i quali faticosamente cercano di liberarsi dalla dipendenza dal fumo, ha l'intento di limitare la libertà del mercato di tali dispositivi per favorire un Monopolio statate che per i Liberali è già anacronistico anche per il fumo".