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Per gli “esperti di salute” italiani il vapore è da vietare come il fumo

Enti di ricerca, Iss e Ministero Salute attendono ricerche indipendenti. Ma non fatte da loro...

Si sono dati appuntamento presso la sede del Parlamento europeo per parlare di politiche anti-tabacco. Sono i maggiori rappresentanti di sanità pubblica, tra cui Silvio Garattini, Presidente dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS; Francisco R. Lozano, presidente ENSP; Silvano Gallus, Istituto Mario Negri; Roberto Boffi, Istituto Nazionale dei Tumori di Milano; Enzo Zagà, Presidente SITAB; Biagio Tinghino, Past President SITAB; Giuseppe Gorini, ISPRO. In collegamento audio ha partecipato anche Roberta Pacifici dell’Istituto superiore di sanità. Oltre a proposte volte a limitare la diffusione delle sigarette, gli esperti hanno anche evidenziato come la sigaretta elettronica debba essere maggiormente regolamentata. Le teoria degli istituti sanitari italiani, infatti, non prevedono che la sigaretta elettronica possa essere un ausilio per smettere di fumare ma il suo utilizzo è visto come una dipendenza tout court. O, almeno, non serve se il suo utilizzo non è “guidato” da un percorso medico. Gli esperti hanno redatto una piattaforma programmatica da sottoporre all’attenzione delle istituzioni politiche europee. questi i punti:
“Aumentare in modo consistente la tassazione sulle sigarette di almeno 1 euro a confezione (pacchetto); adeguare il carico fiscale del tabacco per sigarette rollate a mano, degli altri prodotti del tabacco e dei prodotti del tabacco di nuova generazione (heated tobacco products) a quello delle sigarette convenzionali.
Implementare l’attuale legge sui divieti di fumo, estendendola agli spazi aperti ad alta affluenza di pubblico, come pertinenze dei luoghi di cura, università, spiagge, stadi, concerti, stazioni, fermate dei mezzi pubblici, indipendentemente dalla presenza di bambini e donne in gravidanza.
Estendere l’attuale divieto di fumo nei luoghi chiusi pubblici e nei luoghi di lavoro pubblici e privati e i divieti sulle pubblicità alle sigarette elettroniche e agli heated tobacco products.
Fornire Linee Guida a livello nazionale per l’accreditamento dei Centri per il trattamento del tabagismo individuando risorse specifiche a sostegno di tale servizio, facilitando l’accesso dei fumatori e supportando allo stesso tempo i percorsi di formazione continua dei care givers; implementare e rendere stabili percorsi didattici sulla prevenzione e sul trattamento del tabagismo nelle università per i corsi di laurea di tutte le figure sanitarie; rendere rimborsabili i farmaci di provata efficacia per il trattamento del tabagismo, secondo criteri di appropriatezza, a partire dai pazienti già affetti da patologie croniche fumo-correlate.
Utilizzando le maggiori entrate derivanti dall’aumento della tassazione (circa 2 miliardi per ogni euro di aumento a pacchetto), incrementare le risorse, nel Piano Nazionale della Prevenzione, per le attività strutturali e continuative di prevenzione del tabagismo, in particolare tra i giovani e le donne. Sostenere, inoltre, i servizi per il trattamento del tabagismo, le Quit Line e campagne di informazione e sensibilizzazione. Infine, allocare parte delle entrate per la conduzione di ricerca sul controllo del tabagismo, che sia indipendente dall’industria del tabacco e della sigaretta elettronica”.
Punti di vista leciti se portati avanti da intransigenti rappresentanti della medicina e della salute. Ma fa specie considerare che proprio loro mettano sullo stesso piano il fumo di tabacco con il vapore, anche in mancanza di nicotina. Gli estremismi, è bene ricordarlo, non hanno portato alcun giovamento alla collettività. Anzi, spesso sono stati forieri di rivolte e innalzamento di muri e frontiere.
L’istituto superiore di sanità e il ministero della salute fanno sapere che non tengono in considerazione le ricerche scientifiche effettuate dagli operatori del settore, siano essi multinazionali del tabacco o aziende del vaping. quando però si domanda perché non siano loro stessi a condurle, la risposta è sempre la stessa: “Non abbiamo i soldi”. Aspettiamo allora che qualche azienda di buon cuore, che magari produce bulloni o vestiti per bambini, decida di finanziare una ricerca sul vaping.

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