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Perché la sigaretta elettronica non è accettata come strumento a rischio ridotto?

Risponde Fabio Beatrice, otorinolaringoiatra, direttore del centro antifumo presso l'ospedale San Giovanni Bosco di Torino.

In occasione della giornata mondiale del vaping che si è tenuta lo scorso 30 maggio, l’associazione italiana dei consumatori di ecig ha organizzato una maratona oratoria a sostegno degli strumenti di riduzione del danno da fumo. Al microfono di Anna Corbosiero, vicepresidente Anpvu, si sono alternate le personalità di riferimento del settore. Di seguito pubblichiamo quello di Fabio Beatrice, otorinolaringoiatra, direttore del centro antifumo presso l’ospedale San Giovanni Bosco di Torino.

Di fumo combusto non si muore solo di cancro, ma c’è tanto altro che viene scatenato dalla combustione. È d’accordo professore?
La combustione tabagica è collegata ad una serie di malattie tra cui il tumore ma anche a buona parte delle malattie ischemiche, quindi infarti e ictus. Aggrava anche tutta una serie di malattie importanti come il diabete e l’insufficienza renale. Interviene negativamente sull’asma, condiziona la funzionalità respiratoria e quindi la Bpco e peggiora le condizioni di allergia in generale. Qualche anno fa abbiamo pubblicato un libro, “Centouno motivi per smettere di fumare”. Poi abbiamo pubblicato “La verità sulla sigaretta elettronica”, le cui trentamila copie sono andate esaurite. L’ultimo lavoro è uscito due anni fa e sostanzialmente parla del fumo elettronico come una spinta gentile per smettere di fumare. Nei giorni scorsi ho corretto un editoriale per una importante rivista americana, firmato da me e da Johann Rossi Mason, nel quale affrontiamo proprio il problema della carenza che c’è nella percezione di quanto sia importante clinicamente la riduzione del rischio, come strategia clinica di aiuto al tabagismo. Però, al di là della solita guerra di alcune istituzioni che hanno funzione di controllo sul fumo, che è sacrosanto, e anche rispetto al fumo elettronico, il grosso problema che stiamo discutendo con una serie di opinion leader italiani è proprio questo: perché nei confronti del tabagista c’è uno stragismo assoluto rispetto alla categoria di gestione clinica del rischio? Questo secondo me sarà all’ordine dell’attenzione nei prossimi periodi. Cioè perché osteggiare la sigaretta elettronica, come ha fatto ancora oggi con una dichiarazione l’Istituto superiore di sanità, o come fanno reiteratamente nel tempo anche organismi come la Società italiana di tabaccologia? Da un punto di vista medico, vuol dire che non viene accettata la gestione della riduzione del rischio, quando la riduzione del rischio è una categoria che è concettualmente presente in tutti gli ambiti della medicina. Perché, per esempio, nel diabetico io devo ridurre il rischio di assumere sostanze dolci, non basta l’insulina. Nei casi di tumore se io rifiuto una terapia, che ritengo troppo aggressiva o non adeguata a me, c’è una seconda scelta. E comunque, se hai dei comportamenti a rischio rispetto a una malattia tumorale o alla malattia cardiaca, devi ridurre il tuo rischio. Penso per esempio al colesterolo, a come sia necessario abbattere il colesterolo in tante situazioni, cercando di orientarsi verso tipi di grasso meno nocivi, o per ridurre le quantità di grassi. C’è poi da tener presente che, al di là dell’indicazione clinica, l’essere umano non risponde alla legge del bianco e nero. Al fumatore, però, si dice o cessi o muori, ma è una proposta credibile.E se non riesce a cessare? Qual è l’alternativa al cessare, continuare a provare di cessare, cioè continuare a provare di fallire o morire? Questa dicotomia non solo non appare umana ma è anche non rispettosa di quello che è l’essere umano, che è fatto da diecimila sfumature. Qui secondo me il ruolo dello psicologo è importante. Si deve avere rispetto per l’essere umano a tutto tondo, che non è una macchina che noi mettiamo sul binario obbligato, oppure su un binario morto. Sono veramente stupito da certe posizioni rigide, nelle quali non viene neanche percepito il problema. E chiedere che la sigaretta elettronica sia uno strumento sicuro, è proprio un’autodenuncia della propria ignoranza della categoria clinica di riduzione del rischio. Perché se io dico che un prodotto è meno rischioso di un altro, non posso arrivare a dire che questo prodotto è sicuro, perché sicura non è neanche l’aspirina in assoluto. Qualsiasi farmaco ha una percentuale di tossicità. Io non condivido affatto queste posizioni, perché non sono rispettose delle persone. Il fumatore è una persona e spesso, purtroppo, è anche un malato. La regola numero uno per approcciare un fumatore o un malato è quella di rispettarlo. Questa mancanza di rispetto, questa aggressività per la quale si passa soltanto attraverso una ricerca di imposizioni, di leggi o tassazioni, ignora totalmente che questo tipo di rimedi non possono comportare una riduzione del fumato reale con una forzatura. Io te lo impongo, quindi un certo quantitativo di gente ce la fa, però non risolve il problema della dipendenza. Perché anche per esempio in Gran Bretagna che è il paese più virtuoso d’Europa, sotto il 15% non vanno. Quindi c’è un blocco da affrontare che riguarda milioni di persone e che produce spese enormi. Se il problema è la salute dei fumatori allora si dovrebbe alzare il costo del pacchetto di sigarette a 25-30 euro, rinunciando agli introiti fiscali e facendo un discorso di prevenzione per la salute. Usando, cioè, la tassazione come un deterrente al consumo. Ma siccome questo non viene fatto da nessun politico, allora poi non mi si dica che la salute è la prima preoccupazione del politico. Perché è l’introito fiscale la prima attenzione del politico, la salute viene messa dopo. E quindi i timidi segnali di detassazione verso strumenti a rischio ridotto, in realtà, sono una delle prime indicazioni governative sull’attenzione per la salute dei fumatori. Nessuno degli svapatori o dei fumatori si oppone al rispetto del divieto o alle regole per impedire che i giovani comincino a fumare, altro problema è una politica di aiuto. Quindi noi qui parliamo di politiche di aiuto.

(tratto dalla rivista Sigmagazine #21 luglio-agosto 2020)

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