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L’ipocrisia politica non ha limiti. Rimbomba come uno scoppio in galleria la scelta del governo indiano di entrare a piè pari nel business della produzione di nicotina liquida, sali di nicotina e snus. I quantitativi saranno destinati all’estero perché in India da ormai due anni sono vietate la vendita, la produzione, l’importazione, l’esportazione e la pubblicità di sigarette elettroniche, liquidi di ricarica e riscaldatori di tabacco. Il privilegio di produrre e vendere la nicotina è stato affidato alla società ITC Limited, precedentemente nota come India Tobacco Company: il governo indiano possiede parte delle quote azionarie. L’investimento iniziale è di 6,7 milioni di dollari.
La notizia era già apparsa qualche mese fa, quando gli attivisti del vaping resero pubblico l’evidente conflitto d’interesse, dimostrando che il governo indiano possiede il 28,5 per cento delle quote. La maggioranza relativa è invece della British American Tobacco che ne controlla il 29,4 per cento.
In India vive circa 1,5 miliardi di persone, si stima che i fumatori sono circa 110 milioni. Nel mondo, solo la Cina ha una influenza maggiore nell’industria e nel mercato del tabacco grazie alla società di Stato China Tobacco.
L’ex ministro della salute indiano, Harsh Vardhan, quest’anno ha ottenuto un riconoscimento speciale dall’Organizzazione Mondiale di Sanità in occasione della Giornata mondiale senza tabacco per “la sua preziosa leadership nell’accelerare gli sforzi per il controllo del tabacco in India“. Peccato che durante la cerimonia non sia stato menzionato il fatto che proprio il governo rappresentato da Vardhan sia uno dei principali azionisti della più grande azienda indiana di tabacco. E adesso anche produttore e distributore di nicotina liquida. Per tutti ma non per gli indiani.