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L’Italia è il Paese dell’emergenza. Ovvero il Paese che nella quotidianità si destreggia ma che riesce a dare il meglio di sé quando è messo con le spalle al muro. Sono molti gli esempi: dalle infrastrutture di Italia ‘90 alle grandi catastrofi naturali. Soluzioni immediate volte a tamponare l’emergenza. E non importa se a media o a lunga scadenza gli effetti possono essere nefasti, l’importante è arginare il più possibile con provvedimenti che, proprio per l’emergenza, spesso sono atipici. Il politico è colui che detta la linea, che indica la rotta da seguire; sono però i tecnici e i dirigenti a dover tracciare il sentiero. Questo significa che se lo Stato ha bisogno di aumentare il gettito, il tecnico dovrà aiutarlo nel reperimento delle risorse. Che spesso significa non soltanto trovare un comparto appetibile, ma anche indicare come procedere col prelievo. E’ proprio quanto è accaduto con il gioco d’azzardo, i tabacchi e i prodotti da inalazione, succedanei del tabacco si sarebbe detto fino a qualche mese fa. Ma se per i primi due sono entrati in campo ardui difensori del settore, tanto che più volte sono riusciti a far rigettare o far variare un provvedimento, il settore delle ecig è stato colpito approfittando anche di un iniziale vuoto di rappresentanza. Poi però la rappresentanza è stata ottenuta. Anzi, le rappresentanze. Perché, nonostante il comparto del fumo elettronico sia una piccolissima galassia nell’universo economico, la balcanizzazione dei ruoli ha portato a una varietà di sigle. Spesso più per simpatie (o antipatie) personali che per interesse oggettivo. A questo si aggiunga l’incapacità di legiferare secondo scienza e coscienza ed ecco che la frittata è fatta: crollo verticale del fatturato interno, chiusura delle saracinesche, calo del numero di svapatori di un buon 65 per cento. Ma, si sa, “fatta la legge gabbato il Santo” recita un antico adagio. E allora via libera ai siti esteri, ai piccoli chimici da cantina, alle svendite delle scorte dell’anno precedente. Tutti invocano la strada della legalità ma alla prima occasione utile quasi nessuno riesce a percorrerla. Si fa finta di sbandare quando in realtà il taglio della chicane è cosa voluta. Se la Corte costituzionale e il Tar hanno segnato punti a favore, è il momento di compattarsi proprio attorno queste sentenza. Dimostrare che l’interesse generale supera ogni personalismo. Affidarsi alle organizzazioni di categoria significa garantirsi un megafono con cui poter gridare le proprie ragioni. Estraniarsi dal dibattito, delocalizzare per poi rivendere in Italia, vendere sottobanco sono tutti stratagemmi che nel breve periodo forse danno qualche euro in più ma nel medio periodo è destinato ad essere un atteggiamento perdente. Urlare al complotto, alle multinazionali, alle lobby non serve a nulla. Anche perché il complotto è anche quello organizzato da chi evade e vende liquidi fai da te; le multinazionali non sono nient’altro che aziende che hanno avuto la bravura di ingrandire il proprio fatturato sino a potersi insediare in vari Paesi (che poi è il sogno di ogni imprenditore); le lobby null’altro che un insieme di persone che difendono un interesse comune. E gli svapatori – produttori, negozianti, consumatori – cosa sono se non un gruppo di persone con un interesse comune? E allora, invece di lanciare urla solitarie è giunta l’ora di sussurrare nell’orecchio del vicino. Affinché i tanti singoli sussurri, come nell’antico gioco del passaparola, possa alla fine trasformarsi in un’unica potente voce, dalla prima all’ultima persona della catena.