© Sigmagazine, rivista d'informazione specializzata e destinata ai professionisti del commercio delle sigarette elettroniche e dei liquidi di ricarica - Best edizioni srls, viale Bruno Buozzi 47, Roma - P. Iva 14153851002 - Direttore responsabile: Stefano Caliciuri - Redazione: viale Angelico 78, Roma - Testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Roma al numero 234/2015 - Registro Operatori della Comunicazione: 29956/2017
Le politiche sul vaping stanno diventando sempre più il metro di misura per giudicare le politiche dei diversi governi. Tanto che il Think tank European Policy Information Center (Epicenter), che ogni anno stila il Nanny State Index (la classifica degli Stati-mamma), quest’anno ha voluto elaborare un supplemento che riguarda esclusivamente le politiche sulla sigaretta elettronica. Dunque al classico index che prende in esame le misure restrittive su alcool, cibo e soft drink, tabacco e vaping, nel 2018 si affianca quello “Nicotine supplement”, cioè la classifica degli Stati più restrittivi sui prodotti nicotinici a rischio ridotto, fra i quali Epicenter comprende, oltre alle ecig, anche lo snus e i riscaldatori di tabacco.
E diciamo subito che per l’Italia sono dolori. Perché se nella classifica generale il nostro Paese si salva, grazie alle politiche piuttosto liberali su alcool, cibo-spazzatura e tabacchi, sono proprio le politiche sul vaping a far precipitare il Belpaese nella classifica, come già rilevavamo l’anno scorso. I criteri utilizzati per la valutazione sono sei: l’aumento dei prezzi (in seguito a tassazione o monopolio sulle vendite); la stigmatizzazione dei consumatori; la limitazione della scelta dei prodotti; il disturbo creato ai consumatori; i limiti posti all’informazione (per esempio con il divieto di pubblicità); la limitazione della qualità dei prodotti (per esempio con il divieto per gli aromi).
Non sorprende quindi che l’Italia si collochi ad un non lusinghiero 21esimo posto su 30 (oltre ai 28 Paesi dell’Ue sono sati inseriti in classifica anche la Norvegia e la Svizzera), vicinissima alla coda della classifica. La cosa più triste è che il nostro Paese riceve il punteggio massimo, cioè il peggiore, per quanto riguarda la tassazione e le vendite transfrontaliere, mentre non se la cava poi male per quanto riguarda l’uso nei luoghi pubblici, i divieti sul prodotto, la pubblicità e le politiche sui riscaldatori. “Il vaping in Italia è sotto attacco da anni”, si legge nel documento che accompagna l’index. E dopo aver ricordato che il nostro è stato il primo Pese a tassare i liquidi e aver giudicato “punitiva” la tassa che “ha limitato la diffusione della sigaretta elettronica in Italia”, gli autori danno gli ultimi aggiornamenti.
“Nel gennaio 2018 – si legge – una legge ha creato di fatto un monopolio di Stato per la vendita delle sigarette elettroniche. Non solo sono state vietate le vendite transfrontaliere, ma dall’inizio dell’anno sono proibite tutte le vendite online”. La conclusione a cui giungono anche gli autori della classifica è particolarmente avvilente: “L’unico interesse del governo per i prodotti nicotinici più sicuri è di natura finanziaria. Le sigarette elettroniche possono essere utilizzate nei luoghi pubblici con poche limitazioni e il governo non ha applicato rigorosamente la Direttiva europea sui prodotti del tabacco per quanto riguarda la pubblicità”. Dunque poco interesse per la salute, tanto per le casse erariali.
In cima alla classifica, fra i Paesi più liberali e molto lontani da noi, c’è la Svezia, grazie anche alla circolazione dello Snus. Al secondo posto ci sono quattro Paesi con lo stesso punteggio: Germania, Repubblica Ceca, Regno Unito e Paesi Bassi. In fondo e pericolosamente vicini all’Italia troviamo la Finlandia, l’Ungheria e la Norvegia.