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Ecig e malattie polmonari, Farsalinos smentisce studio Usa

Una ricerca presentata alla conferenza dell'American Thoracic Association trova un legame fra vaping e patologie polmonari croniche. Il medico greco contro-esamina i dati e li confuta pubblicamente.

Il più recente attacco alla sigaretta elettronica arriva da uno studio presentato all’annuale conferenza dell’American Thoracic Association, che si è tenuta a San Diego, California, alla fine del mese scorso. Questo studio (come si legge nel titolo “E-cigarette Use is Associated with Emphysema, Chronic Bronchitis and Copd”) trova un legame fra uso dell’ecig e enfisema, bronchite cronica e broncopneumopatia cronica ostruttiva (Bpco), analizzando i dati del Population assesment of tobacco and health (uno studio sull’uso e gli effetti del tabacco sulla popolazione americana) relativo agli anni 2013-2014. È il caso di preoccuparsi?
Una risposta la fornisce il professore greco Konstantino Farsalinos sul suo E-cigarette Research, che ci racconta uno dei casi studio inseriti nel report che ha portato a conclusioni così drammatiche. “È la storia medica – scrive Farsalinos – di un meccanico in pensione di 64 anni. Ha iniziato a fumare a 16 anni, fumava tre-quattro pacchetti (60-80 sigarette) al giorno. Nel 2001, a 47 anni, gli è stato diagnosticato un tumore della laringe. È stato sottoposto ad intervento chirurgico seguito da radioterapia. Durante la radioterapia ha continuato a fumare 3 sigarette al giorno. Una volta concluse le sedute di radioterapia è tornado a fumare come prima (tre-quatto pacchetti al giorno). Nel 2013, a 59 anni e dodici anni dopo la diagnosi di cancro della laringe, ha provato la sigaretta elettronica di seconda generazione (tipo eGo) per smettere di fumare, senza successo.
All’inizio del 2016, a 62 anni, ha avuto una grave crisi di Bpco e le sue condizioni si sono deteriorate. È stato ospedalizzato e dimesso alcuni giorni dopo con una terapia domiciliare che prescriveva l’uso di ossigeno per 18 ore al giorno. Era praticamente internato a casa, perché incapacitato a uscire, sviluppando dispnea anche spostandosi da una stanza all’altra. Ma continuava a fumare. Una settimana dopo (dopo aver fumato per 46 anni) ha deciso di provare una ecigarette di terza generazione (batteria a wattaggio variabile e tank atomizer). Ha smesso di fumare dal primo giorno. Dopo circa una settimana ha interrotto l’ossigeno e alla fine ha riconsegnato al materiale tutti gli strumenti e i nebulizzatori per la terapia. Oggi è in grado di muoversi, guida uno scooter, si costruisce le sue resistenze ed è riuscito a convincere suo figlio ed altri familiari a smettere di fumare con la sigaretta elettronica”.
Quello raccontato da Farsalinos è uno dei casi studio che hanno portato a conclusioni tanto allarmanti sulla sigaretta elettronica. Ce ne sono altri di questo tipo, tutti fortissimi fumatori che avevano problemi polmonari e in seguito sono passati alla ecig. E in ogni caso, si chiede Farsalinos, se anche questa persona avesse smesso di fumare nel 2011 (dopo 41 anni), fosse passato all’ecig e poi avesse scoperto una malattia polmonare, chi potrebbe asserire che la colpa è del vaping e non del fumo? A onor del vero, nelle conclusioni dell’abstract dello studio, si legge: “Poiché i dati sono trasversali, non si sa se le sigarette elettroniche possono contribuire a sviluppare la Bpco o se chi ha la Bpco è più propenso a usare l’ecig (probabilmente come strumento di riduzione del danno)”. Ma allora perché dare un titolo così allarmante allo studio? E perché trarre conclusioni da pazienti con una storia di fumatori così complessa? Quando si parla di salute pubblica sarebbe auspicabile grande prudenza. Da parte di tutti.

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