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Sigarette elettroniche, il lungo silenzio delle istituzioni sanitarie italiane

“Mancano ricerche scientifiche”. “La sigaretta elettronica non è ancora sdoganata”. “Non esistono studi che ci consentano di prendere posizione”. “La sigaretta elettronica potrebbe iniziare i giovani al fumo”. “Le dipendenze sono da debellare, tutte”. Quelle che avete appena letto sono frasi o concetti che negli ultimi anni hanno caratterizzato i comunicati e le varie conferenze promosse dalle istituzioni sanitarie italiane.
Eppure tutti i giorni qui su Sigmagazine pubblichiamo ricerche, studi, analisi e indagini che hanno come oggetto la sigaretta elettronica e i suoi effetti sulle persone. Quale più, quale meno, tutte però vanno nella stessa direzione: il vapore della sigaretta elettronica non è tossico come il fumo di sigaretta. I vantaggi sono indiscutibili: non esistendo la combustione vengono drasticamente ridotte le emissioni tossiche, addirittura del 95 per cento, secondo una stima di Public Health England. Il vapore passivo, essendo composto da molecole liquide, rimane nell’ambiente solo per alcuni secondi per poi evaporare, contrariamente al fumo di tabacco che, essendo di derivazione solida, contamina l’aria e l’ambiente circostante per diverse ore.
Università, fondazioni, centri di ricerca di tutto il mondo pubblicano quotidianamente sulle riviste scientifiche i risultati dei loro lavori. Fino al 2016 erano già state condotte circa duemila ricerche sulla sigaretta elettronica. Numero che negli ultimi due anni si è esponenzialmente moltiplicato, anche per la maggiore diffusione del vapore da inalazione. Perfino le ricerche commissionate dalle multinazionali del tabacco sottolineano il minor impatto tossico dei vaporizzatori personali rispetto al fumo da tabacco combusto.
Nonostante tutto questo, sia il Ministero della Salute che il suo braccio operativo, l’Istituto superiore di sanità, continuano a chiudere gli occhi di fronte all’evidenza. La domanda, per dirla alla Lubrano, sorge spontanea: perché il Ministero della salute non fa davvero quello che dobvrebbe fare una istituzione sanitaria, ovvero commissionare una ricerca scientifica sulla sigaretta elettronica? L’importante è che il protocollo seguito e la ricostruzione di laboratorio siano effettivamente una replica delle condizioni di realtà.
Le associazioni, le aziende, gli stakeholders di settore purtroppo sono ormai da anni impegnati a salvaguardare la propria esistenza dagli attacchi fiscali e dunque hanno destinato le risorse ad avvocati e consulenze legali. Ma le istituzioni sanitarie non hanno giustificazioni. La loro priorità dovrebbe essere tutelare la salute e, laddove non abbiano gli strumenti, dovrebbero riuscire a procurarseli. Ad esempio  incaricando gli organismi pubblici preposti alla ricerca medica e sanitaria di condurre un lavoro che consenta di prendere una posizione indipendente e fondata. Ma forse è chieder troppo?

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