L'attualità quotidiana sulla sigaretta elettronica

Sigarette elettroniche: continuiamo così, facciamoci del male

Fra la grancassa mediatica che rilancia titoli contraddittori e il silenzio pubblico che fa notizia, in Italia i fumatori sono tornati a crescere. Perché la verità sulla sigaretta elettronica non è una priorità della nostra politica.

(tratto da Sigmagazine #11 novembre-dicembre 2018)

Ma insomma, abbandonare finalmente il pacchetto di sigarette che ci ha accompagnato per anni in favore di una ecig, significa davvero fare uno sforzo per ridurre il danno? Dopo anni e anni a parlare e scrivere di svapo, la domanda che oggi un qualunque fumatore si fa, prima di decidere se compiere il grande passo e optare per una sigaretta elettronica, rimane ancora questo. E già questa confusione la dice lunga su un fenomeno che alterna momenti di crisi, in cui il settore sembra destinato a sparire, e periodi di esaltazione, in cui si spera sia tornato all’Eldorado di quasi un decennio fa. Possibile che in tanti anni nessuno sia stato in grado di offrire una risposta esaustiva e credibile a quegli otto fumatori su dieci – così sembra testimoniare l’ultima ricerca Eurispes – che, se fossero certi di farsi meno male, abbandonerebbero le bionde in favore dello svapo o di strumenti analoghi?
In realtà, chi legge queste osservazioni dalle colonne di Sigmagazine, sa bene che di studi, ricerche e perfino prese di posizione nette da parte di autorità pubbliche sono piene le riviste scientifiche e le pagine di cronaca. Eppure il dibattito, specie in Italia, va in tutt’altra direzione. Più che sugli effetti per la salute umana delle sigarette, contrapposti a quelli di una delle più efficaci alternative finora sperimentate (proprio le sigarette elettroniche), si ragiona su binari decisamente lontani da quelli imboccati – tanto per fare un esempio – in Gran Bretagna dalla British Medical Association, l’associazione dei medici secondo cui “vi sono chiari potenziali benefici delle ecig nel ridurre i danni associati al fumo e il consenso sul fatto che l’uso di sigarette elettroniche sia probabilmente più sicuro”.
Da noi c’è solo l’imbarazzo della scelta tra la grancassa mediatica che rilancia titoli contradditori (a giorni alterni assolutori e colpevolisti) e un silenzio pubblico che non aiuta. Fatevi un giro – come ha fatto il Salvagente – negli studi dei medici di base e vi accorgerete che alla domanda: “Come posso fare per smettere di fumare?”, vi venga ancora illustrato il vetusto campionario inserito nella farmacopea ufficiale, dalle gomme, ai cerotti, agli psicofarmaci. Quanto di più distante – praticamente un altro mondo – dalle posizioni del Royal College of General Practitioners (il collegio dei medici di base) che suggerisce ai colleghi di indicare l’ecig tra le possibili soluzioni per smettere di fumare, e di Kevin Fenton, direttore nazionale per la salute e benessere dell’Agenzia della sanità pubblica inglese, secondo cui “l’evidenza è chiara: il vaping è molto meno dannoso di quello delle sigarette e le sigarette elettroniche possono aiutare molti fumatori a smettere”.
Un silenzio che fa notizia, specie se si riflette sul fatto che i numeri italiani forniti dall’Ossfad (Osservatorio fumo, alcol e droga) del Centro nazionale dipendenza e doping dell’Istituto superiore di sanità non sono di certo di quelli che rallegrano: nell’ultimo anno il numero dei fumatori è aumentato a 12,2 milioni, il 23,3 per cento della popolazione. Se questi non sono numeri da far pensare a un allarme da prendere in considerazione, cos’altro serve perché il nostro Paese metta in campo una ricerca pubblica, finalmente slegata da interessi di parte, che faccia chiarezza? Non sul tema – sbagliato e fuorviante – se lo svapo sia innocuo: è palese a chiunque che non lo sia; la vera questione è se è realmente da considerare una riduzione del rischio. Di tempo ce n’è stato a sufficienza, di volontà no.
Se avete qualche minuto e voglia andatevi a guardare su quella memoria globale che è il web la puntata di “Mi manda Rai3” dei primi mesi del 2009, dove si parlava di quegli aggeggi che all’epoca cominciavano a diffondersi in Italia, le sigarette elettroniche Life. Oltre al sottoscritto e al dottor Riccardo Polosa, c’erano ricercatori dell’Istituto superiore di Sanità che promettevano a breve uno studio sul fenomeno destinato a una prossima forte espansione. Previsione in parte corretta: quel mercato ha avuto tutto il tempo di esplodere senza che fossero stabilite le regole per riconoscere il grano dal loglio di prodotti e liquidi acquistati da produttori improvvisati e senza scrupoli.
E oggi, che di passi in avanti ne sono stati fatti tanti da far apparire preistorici quei primi strumenti venduti in farmacia, resta ancora senza risposte la domanda iniziale. E quegli studi non sono mai arrivati e non certo per cattiva volontà degli studiosi dell’Iss ma perché la politica non li ha mai considerati una priorità.Quegli otto fumatori su dieci, che avrebbero bisogno solo di una piccola spinta per optare per una riduzione del danno, continuano a essere lasciati a se stessi. Con danni per loro e per le casse del Sistema sanitario nazionale. Per dirla come Moretti in Bianca: “Va bene, continuiamocosì, facciamoci del male”.