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“Le istituzioni sanitarie hanno il dovere di fare ricerca sulla sigaretta elettronica”

Riceviamo e pubblichiamo il contributo di un lettore che propone una azione congiunta delle associazioni del vaping che possa obbligare l'Istituto superiore di sanità a fare ricerca imparziale sugli effetti del vapore in contrapposizione al fumo di sigaretta.

Ancora un intervento a gamba tesa nel tentativo di assestare un colpo potenzialmente mortale al settore delle e-cig. Il copione, dal 2014, si ripete regolarmente ogni anno all’avvio delle discussioni sulla legge di bilancio dello stato. Quest’anno è toccato al grand commis dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli proporre per la filiera delle sigarette elettroniche il trattamento fiscale del tabacco. Non è detto che la proposta venga accolta, ma non illudiamoci perché prima o poi le multinazionali del tabacco tramite la politica riusciranno a scippare il settore delle e-cig. C’è un modo efficace per difendere il settore: acquisire una chiara indicazione da parte dello Stato sul (molto) minor rischio del vapore nei confronti del fumo da tabacco. E sarebbe ora che tutte le componenti della filiera delle sigarette elettroniche si attivino per ottenerla. Questa presa d’atto dello Stato sarebbe determinante sulla valutazione delle necessità erariali, falsa motivazione regolarmente tirata fuori quando si tratta di danneggiare il settore delle sigarette elettroniche favorendo nei fatti il consumo di tabacco. Diventa costituzionalmente improponibile la scelta di privilegiare la cassa e non la salute dei cittadini e i decisori politici non potranno che prenderne atto. Affinché lo Stato possa esprimere il parere auspicato è necessario che lo acquisisca dall’organismo ufficiale preposto alla salvaguardia della salute dei cittadini in Italia: questa agenzia è l’Istituto Superiore di Sanità.
L’ISS è intervenuto più volte sull’argomento esprimendo sempre pareri sfavorevoli all’uso della sigaretta elettronica ma fondando le sue convinzioni su studi scientifici che spesso sono stati smentiti da studi altrettanto scientifici. Un esempio su tutti: il famigerato effetto gateway verso il fumo da parte dei giovani. Oppure, appellandosi al principio di precauzione, facendo leva su dubbi e incertezze che potranno essere sciolti soltanto fra 20/30 anni, ovvero il tempo necessario per verificare se e quali danni alla salute potrebbero subire gli utilizzatori della sigaretta elettronica nel lungo termine. Sul tabacco gravano tasse che ammontano a oltre il 77% del prezzo di vendita. Lo scopo dovrebbe essere il finanziamento della sanità pubblica che dovrà curare i consumatori che si ammaleranno a causa del fumo. Principio sacrosanto, acclarati i danni alla salute causati dal fumo di tabacco. Ma perché lo stesso principio deve valere anche per il vaping? Se il fumo da tabacco in Italia è causa diretta e indiretta di 80 mila morti per anno, quanti sono quelli causati dallo svapo?  Come si spiega la tassazione che grava sul settore? Su quali dati si fonda? Va ricordato che la sigaretta elettronica è in uso da almeno 10 anni e non pare che esistano statistiche di morti e/o gravi patologie direttamente legate al suo uso. Eppure c’è un metodo – l’unico – per verificare senza dubbio alcuno il (molto) minore rischio. È un metodo semplice fondato sulla ragionevolezza e il buonsenso e incontestabile dal punto di vista scientifico: determinare le emissioni qualitative e quantitative sviluppate dalle sigarette analogiche, dei riscaldatori di tabacco e delle e-cig alle normali condizioni di utilizzo, comparare i dati raccolti e ricavare le percentuali di rischio per ogni tipologia di prodotto preso in esame. È quanto fatto dalla Public Health of England, l’agenzia di salute pubblica del Regno Unito, l’equivalente dell’ISS in Italia. In virtù di questa ricerca il governo britannico ha compreso l’importanza dello strumento sigaretta elettronica per contrastare efficacemente la piaga del fumo, ha evitato di vessarne l’utilizzo, anzi lo ha promosso e il risultato è stato una diminuzione dei fumatori nel Regno Unito come non era mai stata registrata in passato malgrado i divieti e l’aumento del prezzo delle sigarette.
È grave che l’ISS, sull’esempio della Public Health of England, non abbia avviato una ricerca simile. Avrebbe sia i laboratori che le competenze per farlo. Ma perché non lo fa? Come diceva qualcuno: a pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca. Ma è ancor più grave sapere che l’ISS avrebbe dovuto condurre questa ricerca per suo ovvio compito istituzionale. Nel suo statuto si legge che l’Istitutoesercita le proprie funzioni nei limiti delle proprie disponibilità finanziarie attraverso la genesi di conoscenza; la produzione di evidenze; il trasferimento della conoscenza e delle evidenze; l’effettuazione di controlli ovvero il rilascio di valutazioni, pareri, certificazioni”. Appare evidente che l’ISS avrebbe dovuto attivarsi da tempo per esprimere un parere sulla riduzione del rischio da fumo basato su dati di certezza ed evidenze scientifiche e appare altrettanto evidente che se non lo ha fatto ha disatteso la sua primaria funzione di svolgere “direttamente attività di ricerca e promuove, partecipa e coordina programmi di studio e ricerca di interesse nazionale ed internazionale”. Esprimere un parere sulla riduzione del rischio che coinvolge milioni di individui ancorché fumatori e oltre un milione di utenti della sigaretta elettronica non meriterebbero pari attenzione e interesse da parte delle nostre istituzioni sanitarie? È arrivata l’ora che la filiera della sigaretta elettronica reclami con forza dall’ISS il parere sulla riduzione del rischio su basi di evidenze scientifiche e dovrebbe essere la filiera in tutte le sue componenti (produttori, grossisti, negozianti e consumatori) a richiederlo, evitando l’errore di ricorrere all’intermediazione della politica. Qualche parlamentare di buona volontà purtroppo non è sufficiente ad abbattere il muro di gomma che cinge l’ISS. Sarebbe credo opportuno che la filiera incaricasse un team di avvocati affinché possano intimare ai vertici dell’Istituto superiore di sanità di provvedere a fare quello che sino ad oggi non hanno fatto, mettendoli così di fronte ai loro doveri e responsabilità. Questa proposta è anche una sfida alle associazioni del settore ad avviare concretamente un percorso che potrebbe rivelarsi decisivo per la sopravvivenza di tutto il comparto. Intanto bisognerebbe anche riuscire a organizzare una raccolta fondi da destinare al finanziamento della ricerca scientifica da noi auspicata, prevenendo così la probabile giustificazione dell’ISS sulla carenza di fondi per poterla eseguire.