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Tar del Lazio: prevalenza delle vendite nei negozi di sigarette elettroniche è obbligo legittimo

Respinto il ricorso promosso da UniEcig che chiedeva l'annullamento della determinazione direttoriale di Adm sulle modalità e requisiti di commercializzazione dei Pli.

Imporre l’obbligo della prevalenza delle vendite ai titolari di autorizzazione Adm è un atto legittimo che tende a tutelare sia il venditore che l’acquirente di prodotti liquidi da inalazione. Ha deciso così la seconda sezione del Tar del Lazio pronunciandosi nel ricorso avanzato dall’associazione UniEcig che chiedeva l’annullamento della determinazione direttoriale 92923/RU del 29 marzo 2021 emessa dall’agenzia delle dogane e monopoli. E considera anche giustificato il fatto che a dimostrarla debbano essere i soli esercizi di vicinato, contrariamente ai depositi fiscali che vendono a distanza (e-commerce).
Quello che il legislatore ha inteso evitare – spiega la sentenza – è che i liquidi siano reperibili in qualsiasi negozio, commisti ad altre merci, ritenendo preferibile fare in modo che il consumatore scelga consapevolmente di voler acquistare le sigarette elettroniche, rivolgendosi ad esercizi commerciali specifici che, per la loro stessa natura, richiamano l’attenzione sulla potenziale incidenza sulla salute di tali prodotti. Da ciò la limitazione della vendita anzitutto ai negozi già abilitati alla commercializzazione dei prodotti del fumo tradizionale (rivendite di generi di tabacchi e generi di monopolio) e, previa apposita autorizzazione, agli esercizi abilitati alla vendita di medicinali e prodotti sanitari (farmacie e parafarmacie). Si spiega, conseguentemente, come l’autorizzazione alla vendita da parte degli esercizi di vicinato possa essere rilasciata soltanto ove si tratti di negozi dediti almeno prevalentemente alla commercializzazione di prodotti del fumo elettronico, atteso che ciò consente – ancora una volta – di fare in modo che l’acquisto dei liquidi inalabili sia frutto di una precisa scelta di consumo, e non sia invece facilitato dalla disponibilità indiscriminata di tali prodotti presso qualsiasi tipologia di struttura di vendita. D’altro canto, il requisito della prevalenza facilita la concentrazione dell’offerta nei negozi specializzati e, per questa via, agevola i controlli sui prodotti e sul rispetto delle modalità stesse di vendita (ad esempio, quanto al divieto di cessione ai minori). È, perciò, manifestamente insussistente il profilo di disparità di trattamento lamentato dalla Uniecig”. A ciò si aggiunga che “la previsione di tale requisito per i soli esercizi di vicinato non possa, comunque, ritenersi ingiustificata rispondendo alla finalità di contenere la diffusione dell’offerta di tali prodotti e di evitare la banalizzazione delle sigarette elettroniche, sia in quanto di per sé potenzialmente nocive, sia al fine di evitare che l’acquisizione della ritualità e della gestualità proprie dell’atto del fumare possa facilitare il passaggio al consumo di prodotti più pericolosi, quali le sigarette tradizionali”.
Il ricorso presentato dall’avvocato Sutti cadeva in un momento storico assai tormentato per il comparto del vaping. Probabilmente, letto con il senno del poi, se fosse stato promosso oggi si sarebbe potuto concentrare su altre priorità. Ma il ruolo di una associazione di categoria è proprio quello di tutelare i propri iscritti, a prescindere, dando seguito alle esigenze e alle richieste anche nell’immediato. Concetti che traspaiono anche nelle parole di Antonella Panuzzo (presidente UniEcig): “In quel particolare momento storico che ha coinciso oltretutto con il colpo di coda della pandemia da Covid 19 era doveroso presentare il ricorso. Oggi, vista la lungaggine della giustizia, sicuramente ci sarebbero altri meccanismi interni da perfezionare per tutelare concretamente i rivenditori specializzati, troppo spesso messi in difficoltà e penalizzati – o, per meglio dire, non avvantaggiati – da una normativa rigida e sovente anche farraginosa. In ogni caso presentare il ricorso era per noi un atto dovuto, purtroppo il Tribunale non ha ritenuto valide le nostre ragioni”.

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