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Sigarette elettroniche e harm reduction, Italia prigioniera degli schemi del passato

Le posizioni sugli strumenti a rischio ridotto espresse dal ministro della salute Schillaci restituiscono l’immagine di un apparato sanitario che non riesce a stare al passo con l’innovazione e la ricerca scientifica nel campo della lotta al fumo. A discapito della salute dei fumatori.

Gli anniversari storici sono da sempre un vero e proprio spartiacque generazionale, che dà origine a un dibattito sull’utilità o meno di quanto fatto. Un assioma recentemente confermato dal positivo instaurarsi di un dibattito scientifico ma, soprattutto, politico, in seguito al ventennale che ha celebrato l’entrata in vigore della legge Sirchia, un baluardo della lotta al tabagismo nel nostro Paese. Come sappiamo, la legge introdusse il divieto di fumo in luoghi chiusi, privati e pubblici, come luoghi di lavoro, centri ricreativi, palestre e ristoranti. Una norma che inaugurò un periodo proficuo di lotta al consumo di sigarette, con provvedimenti che negli anni successivi regolamentarono l’etichettatura, la composizione e la pubblicità dei questi prodotti.
Sebbene la legge Sirchia sia riuscita a invertire il trend del tabagismo italiano, a vent’anni di distanza il quadro che ci troviamo davanti è leggermente cambiato: dopo un primo momento di decrescita dei tassi di fumatori, ad oggi il numero rimane abbastanza stabile, complice anche l’aumento della popolazione generale. Prendendo ad esempio qualche dato facilmente reperibile, sappiamo che in Italia ogni anno il numero di morti fumo-correlate supera ancora quota 90 mila e che nel nostro Paese circa un italiano ogni 4/5 fuma.

Ricercatori del Centro di ricerca per la riduzione del danno da fumo (Coehar) dell’Università di Catania

Se un fumatore volesse smettere, cosa dovrebbe fare? I servizi di assistenza al cittadino propongono un ventaglio di opzioni non limitante ma decisamente non al passo con i tempi: i centri antifumo faticano ad avere una presa stabile sull’abitudine tabagica e, nonostante rappresentino un patrimonio attivo non indifferente, solo il 9% di chi vi si rivolge riesce a rimanere astinente per più di sei mesi. Numeri che ci trasmettono l’immagine di una battaglia di trincea più che di una guerra lampo: se da un lato, le politiche attuali contengono il fenomeno, grazie anche alla massiccia attività di prevenzione e informazione direzionata però alle classi più giovani e più a rischio, dall’altro non riescono efficacemente ad entrare in empatia con il fumatore più accanito, scalfendone le abitudini.
Il risvolto della medaglia nel caso di divieti sanciti dalla legge, infatti, è ritenere che una limitazione, unita a una sanzione di qualsiasi tipo, possa influire nel comportamento nel breve periodo: quando la norma diventa consuetudine, il potenziale di efficacia si riduce. Convivendoci, non avvertiamo più il carattere correttivo ed esortativo che si ha nelle prime fasi della sua attuazione. La mancanza di empatia del divieto diventa così, nel corso di un ventennio, causa parziale di un fallimento.
Ed è proprio in questo quadro che si inserisce la cosiddetta “questione italiana” sul fumo elettronico. In occasione del ventennale appena celebrato, il ministro della salute Orazio Schillaci ha rimarcato che sarebbe opportuno introdurre una nuova stretta sul fumo, ampliando la legge del 2003 anche a un’altra categoria di prodotti che ormai si sono inseriti stabilmente sul mercato, ovvero quella delle sigarette elettroniche e dei prodotti a tabacco riscaldato. Ammettendo anche che una regolamentazione specifica sia auspicabile, questa dovrebbe essere oggetto di un intervento mirato che riconosca le effettive differenze tra fumo combusto e fumo elettronico.
La sostanziale differenza tra i due prodotti è alla base di un divario abissale nel danno generato in termini di salute. Non sono ormai più trascurabili le evidenze che provengono dal mondo scientifico, sia da studi di industrie del settore sia da studi indipendenti, che testimoniano il danno ridotto, più del 90%, delle sigarette elettroniche rispetto alle sigarette combuste. Purtroppo, l’approccio precauzionale nel nostro Paese ci impedisce di compiere un passo allineato con l’esempio di Paesi europei ed extraeuropei dove la decisione di introdurre le e-cig ha fatto calare drasticamente i tassi di fumatori.
Ancora una volta, la necessità di entrare in empatia con i bisogni di chi quotidianamente combatte contro un’abitudine sembra essere asservita a un principio precauzionale. Se tralasciassimo per un momento il timore di liberalizzare un prodotto alternativo del tabacco, ci ricorderemmo che qualsiasi divieto, anche il più stringente, non può minare un diritto inviolabile, quello alla salute e al libero arbitrio. Perché non garantire ai fumatori una scelta diversa, meno dannosa e al contempo, attraverso un approccio integrato tra assistenza, approcci tradizionali e nuovi strumenti, guidarli definitivamente fuori dal tabagismo? Un discorso valido sia per il fumatore incallito sia per chi ha sviluppato negli anni una serie di patologie debilitanti: non è vero infatti che chi fuma da una vita non può invertire il senso di marcia.
Secondo una recente revisione sistematica del Coehar dell’Università di Catania, condotta sulla letteratura scientifica riguardante la Bpco, una patologia facente parte di un gruppo di condizioni polmonari legate al fumo che causano difficoltà respiratorie, enfisema e bronchite cronica, la cessazione rimane ad oggi il metodo più utile e consigliato per migliorare le condizioni della malattia. Una review che segna un nuovo percorso della ricerca clinica per tutti quei pazienti le cui condizioni di salute e di vita potrebbero migliorare se si introducessero cambiamenti significativi nelle loro abitudini, monitorando realmente l’impatto delle sigarette elettroniche e dei prodotti a tabacco riscaldato, il cui uso può contribuire a ridurre le esacerbazioni della malattia. Uno studio che sottolinea come a tutti i professionisti del settore servano dati completi ed esaurienti per aiutare delle classi di pazienti a rischio attraverso un giusto mix di informazione e scienza.  Ma è scoraggiante che la maggior parte dei programmi per smettere di fumare non sembrino funzionare per la stragrande maggioranza dei fumatori con Bpco e che, addirittura, molti pazienti continuino a fumare nonostante i loro sintomi.
L’attività di ricerca del centro catanese recentemente, ha prodotto un’altra importante revisione in ambito cardiovascolare. Il progetto internazionale denominato in Silico Science, che raggruppa ricercatori incaricati di revisionare i dati che provengono dai maggiori studi internazionali, ha analizzato nel dettaglio i risultati di 25 studi diversi, comprendenti un totale di 1.810 fumatori, in merito ai possibili effetti cardiovascolari delle sigarette elettroniche: secondo quanto emerso, non ci sono prove che sigarette elettroniche e prodotti a tabacco riscaldato siano più dannosi del fumo combusto. La ricerca ha analizzato i parametri di studi riguardanti pressione sanguigna, frequenza cardiaca e test cardiovascolari. I ricercatori aggiungono che non solo non ci sarebbero danni aggiuntivi o maggiori con l’utilizzo di e-cig, ma i dati sembrano confermare addirittura che si possano trarre benefici nel passaggio da fumo combusto a fumo elettronico.
Purtroppo la revisione ha sottolineato come per ancora troppi studi si evidenzino errori specifici legati al design e alla metrologia: per poter essere finalmente una voce potente e roboante nel mondo della cessazione, la ricerca di settore deve basarsi su alti standard clinici, con campioni di soggetti con caratteristiche specifiche e complete e che testino l’abitudine tabagica o di svapo collimante con le reali condizioni di uso. Non possiamo permetterci che il timore o l’incapacità decisionali rallentino la lotta al fumo: se è vero che ogni ricorrenza storica segna un momento di riflessione critica, allora il ventennale della legge Sirchia non deve tracciare un percorso netto e dal quale non sia possibile uscire, ma dare il coraggio di affrontare nuove sfide, per garantire finalmente ai fumatori alternative per la loro salute.

 L’autore: Chiara Nobis, copywriter, esperta in strumenti di riduzione del danno da fumo.

(articolo tratto dalla rivista Sigmagazine #37 marzo-aprile 2023)