Testata giornalistica destinata agli operatori del settore delle sigarette elettroniche - Registrazione Tribunale di Roma: 234/2015; Registro Operatori della Comunicazione: 29956/2017 - Best Edizioni srls, viale Bruno Buozzi 47, Roma - Partita Iva 14153851002

Sigarette elettroniche, parola alle associazioni: Dario Colaianni (Coiv)

Pubblichiamo l'articolo scritto dal presidente della Coalizione Operatori Italiani del Vaping tratto dalla rivista bimestrale attualmente in distribuzione.

(articolo tratto dal bimestrale Sigmagazine #12)

Non si scrive oggi il necrologio di un settore, fatto nuovo se si volge lo sguardo al precipizio che il comparto fino a ieri si trovava innanzi. Doveroso ringraziare il governo che ha cominciato la virata: l’ago che vuol seguire punta più alla salute dei cittadini che a ragioni di cassa: è la buona politica che da slogan diventa finalmente azione.Permangono criticità che però possono essere trasformate in punti di forza sia per il settore che per lo Stato.
Tre le questioni interconnesse. Esiste il rischio di dumping commerciale da parte dei competitor comunitari verso le aziende italiane; l’esecutivo può attenuare tali distorsioni e al contempo attuare le politiche espansive di stampo keynesiano necessarie al suo programma, nel rispetto delle norme che lo limitano quale agente attivo dell’economia reale; la filiera dovrà contribuire prestando alla burocrazia sue competenze interne, in modo da amplificare la qualità già internazionalmente riconosciuta al prodotto italiano.
Oggi la filiera festeggia: norme più favorevoli sono diventare legge. Soggettivamente l’euforia è comprensibile: la catena che strangolava il settore sparisce e ci si sente forti ed agili. Oggettivamente, però, non è così. Se si osserva – non dalla fossa in cui si era schiacciati ma dall’alto – il terreno su cui si combatte la battaglia della competitività, ci si accorge che è l’Europa la mappa da prendere in considerazione. È su quel terreno, dove marginalità di centesimi determinano vincitori e vinti, che le imprese italiane continuano la loro corsa, penalizzate da un peso che i loro competitor non hanno. Il motivo è empirico: la catena in realtà resta, seppur alleggerita. Permane una tassazione che supera i diversi euro per unità venduta, poiché si applica su prodotti a zero nicotina ed a basi nei loro diversi formati. Per ogni unità venduta sul proprio mercato di riferimento, il competitor comunitario incamera più risorse, ha un surplus – regalatogli da regole differenti -che può reinvestire in occupazione ed innovazione, marciando inesorabile verso il giorno in cui potrà fagocitare il collega italiano.
Si opera sotto il regime dei Monopoli e le spese per istituire e mantenere un deposito fiscale, le fideiussioni immobilizzate a garanzia dell’imposta di consumo, sono tutte risorse in meno rispetto al collega d’Oltralpe. C’è chi non vede storture: lo straniero quando vende in Italia è gravato dalle stesse regole e l’impresa italiana può operare a parità di condizioni sul mercato estero. Chi ragiona così, sta sì osservando il terreno ma regge il binocolo al contrario. Non considera che il core business ogni azienda lo fa per il 90 per cento nel suo mercato di riferimento ed è con quel surplus che può permettersi di vendere a prezzo di costo in Italia, attuando quel dumping commerciale che penalizza chi fa gran parte del business in patria. La lettera sottoscritta lo scorso febbraio da Matteo Salvini era lungimirante e ne resta auspicabile l’attuazione: “azzeramento dell’imposta di consumo […] in attesa della tassazione europea”.La presenza di regole penalizzanti solo per alcuni stride con il mercato unico.
Ma vi sono dei margini di sovranità nel rispetto delle regole. Flat tax, reddito di cittadinanza e via discorrendo richiedono risorse. Il Pil che conta è in larga misura somma dei danari che da fuori entrano nella scatola Italia: investimenti esteri, turismo, export. Aiuti di Stato, volti a creare Pil, sono in larga misura proibiti. Eppure, come a tutela della salute e dell’industria per i prodotti agricoli si riesce legittimamente ad aggirare il divieto di dazi, inibendo l’importazione di prodotti come gli Ogm, così c’è una via per aggregare in un unico provvedimento istanze volte a tutelare la salute pubblica e ad incentivare un’industria che, come poche altre, ha enormi potenziali di crescita.
Il governo prenda in considerazione un modello vicino: nel Regno Unito lo Stato riconosce un bonus di 25 sterline a chi passa al vaping. Incentivare anche da noi il passaggio a uno strumento di riduzione del danno avrebbe il doppio beneficio di dare ossigeno a un’industria nazionale in grado di creare occupazione, export e dunque Pil, tutelando al contempo le istanze di salute dei cittadini. Non aiuti di Stato ma incentivi alla salute che creano crescita: opportunità rara che auspichiamo il governo saprà afferrare.
Le regole che disciplinano il settore sono nostre alleate: garantiscono qualità e standard elevati. I pochi che non le rispettano, danneggiano la filiera onesta e mettono a repentaglio la sicurezza dei consumatori. Far rispettare queste regole è un compito gravoso. La pubblica amministrazione non potrà che giovarsi dell’aiuto di chi ha il suo stesso interesse al rispetto delle regole. Coiv, che già oggi conta circa il 70 per cento della filiera produttiva e distributiva associata, auspica l’istituzione di un tavolo tecnico permanente di confronto con l’Amministrazione, attraverso il quale mettere a disposizione le proprie competenze, nella convinzione che le altre associazioni di settore più rappresentative vogliano unirsi a questa richiesta. Stato, filiera e consumatori, se uniti, sono più forti.