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Attività sigarette elettroniche: professionalità, se non ora quando?

Corsi di formazione, certificazioni, sicurezza sul lavoro. Il processo di qualificazione e il riconoscimento della competenza degli operatori economici del vaping andrebbe a garanzia e tutela, oltre che di loro stessi, anche dei dipendenti e dei consumatori.

Nell’attività di vendita al dettaglio di sigarette elettroniche e prodotti correlati, a tutt’oggi permane la sconcertante incapacità dello Stato di assolvere al dovere di normare e classificare correttamente questo comparto merceologico. Testimonianza ne è il fatto che, gli esercenti commercianti di questo ormai non più nuovo settore, non hanno ancora un corretto ed univoco codice Ateco, che ne identifichi la macrocategoria e/o categoria di appartenenza.
Una conseguente considerazione a tutto ciò deve essere fatta, in merito al rapporto esistente tra la fascia specifica di rischio per la sicurezza e il codice Ateco che ne indentifica l’attività economica, su quanto viene stabilito nella linea guida redatta nel 2011 dall’Inail e quanto previsto nell’allegato 2 sull’Individuazione macrocategorie di rischio e corrispondenza Ateco 2002-2007 dell’Accordo Stato Regioni n. 221 del 21 dicembre 2011, ovvero l’individuazione del rischio aziendale deve passare attraverso la corretta attribuzione del codice Ateco in quanto da esso dipendono gli obblighi per il datore di lavoro in materia di misure generali di sicurezza dei locali e di prevenzione e protezione dei lavoratori, nonché della specifica formazione da garantire in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
La questione diventa ancora più scivolosa se si considera che tale attività – in quanto assoggettata ad autorizzazione da parta dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli (Adm) – non abilita nel dettato dell’articolo 2 e comma 5 gli esercenti alla preparazione o al confezionamento dei prodotti liquidi da inalazione senza combustione costituiti da sostanze liquide, contenenti o meno nicotina.
Quindi, se da una parte troviamo ai sensi del Testo Unico Sicurezza – D.Lgs. 81/08 in capo al datore di lavoro il dover rispondere attivamente a dettami degli articoli:

  • 15 “Misure generali di tutela”;
  • 18 “Obblighi del datore di lavoro e dei dirigenti”;
  • 28/29 “Oggetto ed effettuazione della valutazione dei rischi”;
  • 37 “Formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti”;
  • 41 “Sorveglianza sanitaria”;
  • 45 “Primo soccorso”;
  • 46 “Prevenzione incendi”;

dall’altra, stante a quanto fin qui affermato, si dovrebbe bandire qualunque attività che comporti la presenza di un rischio specifico (es. quello chimico) verificabile nel caso in cui si perpetrasse un’attività in deroga al summenzionato articolo 2 comma 5 dell’autorizzazione Adm.
È utile sottolineare che, nel caso in cui il titolare di uno shop divenisse responsabile di operazioni condotte da un suo lavoratore che contemplino la presenza di rischi specifici che in funzione del codice Ateco di appartenenza non dovevano sussistere tra le attività svolte, diventerebbe ope legis il destinatario delle conseguenze sanzionatorie e dei ricorsi per eventuali risarcimenti per malattie professionali che troverebbero un automatico accoglimento da parte delle autorità competenti (cfr.  Penale Sentenza Sez. 4 n° 18323 del 11/01/2019 Corte D’Appello di Firenze – presidente Di Salvo Emanuele).
Se consideriamo inoltre che, da un’indagine europea condotta qualche anno fa, si rileva che le sostanze pericolose sono presenti quasi nel 40% degli ambienti lavorativi e che per il 59% dei casi il contatto con l’agente chimico non avrebbe dovuto prodursi o i lavoratori non avrebbero dovuto esservi esposti, va da sé che, per il datore di lavoro, incombe quanto meno l’obbligo, qualora non potesse evitare il rischio derivante dalla presenza di sostanze pericolose, di valutazione ai sensi dell’articolo 223 del rischio chimico, valutandone i valori limite di esposizione professionale ai sensi dell’allegato XXXVII del D.Lgs. 81/08.
Si dovrebbero quindi riportare, nel documento di valutazione dei rischi, quanto meno le seguenti informazioni:

  • un’analisi del processo lavorativo e classificazione delle mansioni;
  • l’identificazione degli agenti chimici pericolosi;
  • le proprietà pericolose degli agenti chimici identificati;
  • le informazioni sulla salute e sicurezza comunicate dal produttore o dal fornitore tramite la relativa scheda di sicurezza predisposta ai sensi dei decreti legislativi 3 febbraio 1997, n. 52 e 16 luglio 1998, n. 285 e s.m.i.; oppure, in alternativa, le informazioni ricavate dalla letteratura scientifica;
  • il livello, il tipo e la durata dell’esposizione;
  • le circostanze in cui viene svolto il lavoro in presenza di tali agenti, compresa la quantità degli stessi;
  • i valori limite di esposizione professionale o i valori limite biologici;
  • gli effetti delle misure preventive e protettive adottate o da adottare;
  • le eventuali azioni di sorveglianza sanitaria già intraprese;
  • l’indicazione, per ogni sostanza (o famiglia di sostanze), della quantità e della modalità e frequenza di esposizione che consentono, anche attraverso l’utilizzo di modelli e/o algoritmi, di definire il livello di rischio “basso per la sicurezza e irrilevante per la salute”, come novellato dall’art. 224 al comma 2.

Si consiglia quindi, in presenza di lavorazioni che contemplino a vario titolo l’utilizzo di sostanze chimiche, di effettuare sempre una valutazione del rischio chimico che sia effettivamente rappresentativa delle condizioni di lavoro e che contenga tutte le informazioni richieste dalla normativa vigente. A tale fine, si segnala l’opportunità di tenere in considerazione le Linee direttrici pratiche non obbligatorie, emanate in riferimento alla Direttiva 98/24/CE sulla protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori contro i rischi derivanti da agenti chimici durante il lavoro. Inoltre sono da tenere in considerazione, per la valutazione del rischio tossicologico stimato attraverso l’uso dei valori limite occupazionali, le misurazioni da effettuare secondo le norme Uni-En di cui all’Allegato XLI del D.lgs. n. 81/2008. Nello specifico la Uni-En 689/97, all’appendice C, fornisce l’esempio di applicazione di una procedura formale per la valutazione dell’esposizione degli addetti. Le condizioni per applicare la procedura sono indicate al punto C.2 della norma.

In pratica si può decidere che l’esposizione del lavoratore è al di sotto dei valori limite se:

  • su un’unica misurazione (un turno di lavoro) il valore di esposizione risulta sicuramente inferiore ad 1/10 del valore limite;
  • su rilevazioni effettuate in tre diversi turni di lavoro e nella medesima postazione di lavoro, il valore di esposizione risulta sicuramente inferiore ad 1/4 del valore limite.

Gli agenti chimici commercializzati sono corredati di una serie di informazioni riportate sulle etichette e nelle schede di sicurezza ai sensi del regolamento Clp sulla classificazione, l’etichettatura e l’imballaggio (CE) n. 1272/2008 e ai sensi regolamento Reach (CE) n. 1907/2006 che aiutano il datore di lavoro a valutare correttamente il rischio di esposizione e a mettere in atto adeguate misure preventive e protettive per il controllo dei rischi presenti.
Effettuare un’attenta valutazione del rischio è la garanzia di una approfondita conoscenza del problema e di reale capacità di predisporre le azioni più idonee di prevenzione per la sicurezza, nel rispetto della normativa e nella promozione consapevole che la sicurezza è un diritto-dovere, ma soprattutto un valore aggiunto dell’attività lavorativa e che tutti sono chiamati a dare il proprio contributo perché si realizzi.
Sarebbe auspicabile, da parte delle associazioni di rappresentanza, chiedere al legislatore, più che vietare e limitare la libertà delle attività conseguenti e contingenti, di regolamentare il processo di qualificazione e riconoscimento della professionalità degli operatori economici del settore a garanzia, oltre che della libertà di mercato, anche della tutela reale dei lavoratori e dei consumatori.
Altra azione molto importante da parte delle associazioni sarebbe quella di attivarsi per erogare corsi di formazione qualificanti e permettere agli addetti ai lavori di acquisire le competenze necessarie allo svolgimento ottimale del lavoro secondo delle prassi univoche e valide per tutto il territorio nazionale. Tali linee guida sono di fondamentale importanza, affinché l’utente finale riceva la stessa qualità di servizio prestato. Tali percorsi formativi, per essere effettivamente qualificanti ed efficaci, dovrebbero prevedere successivi moduli di aggiornamento per informare gli operatori sui nuovi studi e progressi tecnologici/normativi emersi. Questo in quanto ci troviamo ancora davanti a un settore che, anche se non più giovane, è in costante evoluzione. L’esperienza acquisita dal negoziante in tutti questi anni di attività sarebbe così qualificata e riconosciuta ufficialmente da un ente terzo super partes in modo da garantire l’imparzialità e dare dignità al “venditore di sigarette elettroniche”.
Bisognerebbe, cioè, iniziare a considerare l’operatore del vaping non un semplice commesso addetto alla vendita dei prodotti dell’e-cig, bensì un vero e proprio professionista del settore, che attraverso la sua consulenza specializzata supporti il cliente nel processo di abbandono delle sigarette tradizionali e lo avvii all’utilizzo di prodotti che stanno confermando sempre più la loro efficacia nella riduzione del rischio per la salute.

(articolo tratto dal bimestrale Sigmagazine #18 gennaio-febbraio 2020)