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I divieti sulle sigarette elettroniche favoriscono il mercato nero

Un rapporto della Baker University, Texas, mette in guardia contro tentazioni proibizioniste. Sottolineando che il vaping riduce il danno.

È improbabile che un divieto, parziale o totale, sui prodotti del vaping ne riduca l’uso in maniera significativa. È più probabile che tale misura abbia conseguenze indesiderate e indesiderabili. La decennale lotta alle droghe è un esempio tangibile dei costi economici e umani del proibizionismo”.  A entrare nel dibattito americano, mettendo in guardia contro le tentazioni proibizioniste, è un rapporto del Baker Institute for Public Policy della texana Baker University, intitolato “Vaping: Clearing the air” e firmato dagli studiosi Katharine Neill Harris e William Martin. Secondo i due autori, applicare un divieto per i prodotti del vaping, avrebbe come unico risultato quello di ampliare il mercato nero, già esistente per questi prodotti, proprio come è successo con le droghe. E la recente esperienza di malattie polmonari dovute a cartucce di Thc illegali, allungate con acetato di vitamina E, dimostra quanto questo sia pericoloso.
Harris e Martin ritengono che il problema della diffusione fra i minori vada affrontato con leggi più stringenti, che impediscano la vendita e la pubblicità indirizzata ai minori, multando severamente le aziende che hanno utilizzato consapevolmente queste tecniche di marketing. Ma bisogna trovare un equilibrio e far sì che i prodotti di riduzione del danno non perdano potere di attirare i fumatori, che usano la sigaretta elettronica per smettere di fumare. Gli autori, pur non sottovalutando il problema, ricordano anche che i tassi dei fumatori sono in continuo calo in tutte le fasce di età, quindi anche fra i giovanissimi. E aggiungono: “Per quanto riguarda l’uso fra i minori, è importante riconoscere che si inquadra nel desiderio degli adolescenti di sperimentare con sostanze che alterano la mente e, come bere, fumare, fare sesso e altre attività sperimentali considerate rischiose per quella fascia di età, è un comportamento che si può scoraggiare ma non eliminare”.
Gli autori affrontano la questione in maniera laica, mettendo in chiaro che “non sono sostenitori né apologeti della sigaretta elettronica, se non come strumento di riduzione del danno” e che guardano con scetticismo Big Tobacco e aziende come Juul quando sostengono di non aver mai voluto che i minori usassero i loro prodotti (nel rapporto è dedicato molto spazio alla ex start-up californiana). “Ma – sottolineano – accettiamo le evidenze scientifiche che indicano che svapare nicotina è meno dannoso del fumo e può aiutare i fumatori a ridurre o cessare completamente l’uso di tabacco combusto”.
Insomma, il rapporto del Baker Institute ribadisce la necessità di trovare il punto di equilibrio legislativo, che permetta al contempo di preservare i minori e i non fumatori, senza demonizzare o ridurre l’accesso a uno strumento che può salvare molti fumatori. Che poi è l’obiettivo più volte ribadito dall’Amministrazione Trump. Un equilibrio che va cercato senza imporre divieti controproducenti. D’altronde, ricordano Harris e Martin, “il fumo di tabacco è indubbiamente dannoso, sia di prima che di seconda mano, eppure nessuno pensa seriamente che i fumatori debbano essere arrestati o che gli debba essere impedito l’accesso al tabacco”. Farlo per un prodotto che riduce il danno, oltre che controproducente, sarebbe anche difficilmente difendibile dal punto di vista etico e scientifico.

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