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Sigarette elettroniche, parte la rivoluzione cinese: solo precaricate e niente aromi

Da sabato 1 ottobre le nuove regole di produzione e vendita dei prodotti del vaping nel mercato interno; restrizioni anche per le esportazioni in Europa e Usa.

Da domani, sabato 1 ottobre, cambia il mondo del vaping. In Cina entra in vigore la nuova legge sulle sigarette elettroniche che introduce pesanti restrizioni nel mercato interno, tra cui il divieto di commercializzare liquidi pronti aromatizzati con gusti diversi dal tabacco e atomizzatori ricaricabili. In sostanza, si vieta la vendita dei cosiddetti sistemi aperti, consentendo soltanto le pod precaricate e le sigarette elettroniche usa e getta. Le nuove regole sono state adottate lo scorso novembre, quando il mercato del vaping è stato assoggettato al controllo dello State Tobacco Monopoly Administration (Stma), l’equivalente della nostra Agenzia delle accise, dogane e monopoli (Adm). Tra le altre novità: il divieto di organizzare eventi fieristici e l’obbligo per i negozianti di acquistare i prodotti all’ingrosso soltanto attraverso una apposita piattaforma statale.
Discorso diverso per i prodotti realizzati in Cina ma destinati ai mercati esteri. La nuova norma stabilisce che possono essere esportati liquidi, sigarette elettroniche, atomizzatori e accessori soltanto se in regola con le direttive del paese destinatario. Ma le aziende cinesi quanto saranno disposte a investire in mercati che dal loro punto di vista sono relativamente piccoli e disomogenei? Si spiega anche così la proliferazione delle sigarette elettroniche usa e getta degli ultimi mesi, ideate per poter essere vendute in Cina hanno poi rapidamente invaso il mercato globale internazionale.
La Stma ha il potere di sanzionare le aziende che non rispettano i requisiti: si può andare da una semplice comunicazione di avvertimento sino alla chiusura dell’attività e al procedimento penale per i titolari. Delle 170 mila aziende cinesi che sino allo scorso mese di marzo progettavano, realizzavano e vendevano prodotti per la vaporizzazione, poco meno di un terzo ha ottenuto l’autorizzazione per poter continuare l’attività. Tra queste, 190 produttori di liquidi da inalazioni o dispositivi elettronici e 55 mila rivenditori su strada. Significa che sono molti ad avere rinunciato al business perché ritenuto troppo impegnativo dal punto di vista.
La piccola buona notizia è che la Cina ha scelto di non imporre un divieto assoluto di svapo, a differenza invece delle due regioni semiautonome del paese, Hong Kong e Macao, che hanno invece vietato sia la vendita che l’importazione. Secondo il ministero dell’economia cinese, le nuove regole serviranno per porre fine alla giungla esistente in un settore non ancora rigorosamente normato ma soprattutto per evitare la creazione di aziende “mordi e fuggi” che non porterebbero alcun valore aggiunto all’economia statale.
Quanto il mercato internazionale risentirà delle nuove norme cinesi è ancora presto per dirlo. Soprattutto è impossibile prevedere quanto le aziende saranno disposte a rischiare. Ad esempio, potranno ancora esportare in Europa gli atomizzatori con capacità superiore ai 2 millilitri visto che la Direttiva europea prevede soltanto dispositivi da 2 millilitri? Si potrebbe obiettare che il vincolo vale solo se sono destinati al consumo di nicotina, certamente, ma come potrà un esportatore cinese dimostrarlo agli occhi della Stma? Correrà il rischio di essere sanzionato o preferirà andare sul sicuro e interrompere la produzione di atomizzatori ricaricabili? E i prodotti che non sono ancora stati notificati nel mercato di destinazione potranno essere venduti o dovranno attendere l’esito della comunicazione? Ad oggi ci sono più domande che risposte certe. In ogni caso, il mercato del vaping sarà destinato a cambiare nel breve periodo. Per sapere come, bisognerà capire quanto le autorità di controllo renderanno difficile alle aziende cinesi fare affari con l’estero.

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