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La “cattiva scienza” contro la sigaretta elettronica

Nella narrativa scientifica anti-vaping spesso un’ideologia di bassa qualità conduce a ricerche frettolose, in cui fornire un risultato è più importante che garantire la veridicità del dato stesso.

Quali sono i fattori che influiscono sulla narrativa pro o anti-vaping? Quando un dato è davvero sinonimo di una correlazione positiva di causa-effetto? Queste sono solo alcune delle domande che è necessario porci quando valutiamo attentamente le novità che provengono dai maggiori lavori scientifici nel campo della riduzione del danno. Concedere il beneficio del dubbio a un dato o a una teoria non si traduce automaticamente nell’accettare tutti i risultati basati su lavori in cui mancano gli assiomi fondamentali del metodo scientifico. Soprattutto nel campo della ricerca sui dispositivi a rischio ridotto. In un recente commento svolto grazie alla preziosa collaborazione del dottor Konstantinos Farsalinos, abbiamo analizzato alcuni lavori nel campo delle sigarette elettroniche.
Quanto è emerso ci ha lasciati alquanto basiti. Un’ideologia di bassa qualità conduce a ricerche frettolose, in cui fornire un risultato è più importante che garantire la veridicità del dato stesso. Mi spiego meglio: durante il processo di revisione degli articoli scientifici, ci si aspetterebbe che prima della pubblicazione i lavori fossero scrupolosamente analizzati nel loro complesso, cercando di capire e valutare i rapporti causali tra una rilevazione, un’analisi o un test e le considerazioni dedotte. Molto spesso, invece, nella narrativa anti-vaping, mancano elementi fondamentali che sono necessari per trarre determinate condizioni: come si può infatti attestare un danno derivante dall’uso di sigarette elettroniche, se la pregressa abitudine tabagica non viene presa in considerazione? Ho sviluppato una patologia fumo-correlata perché ho iniziato a svapare oppure perché nei dieci anni precedenti ho fumato?
Analizzando un lavoro di Parker del 2020, ad esempio, abbiamo notato che i dati ottenuti si basavano su un questionario svolto tra la popolazione americana in merito allo sviluppo di una determinata patologia in relazione all’utilizzo di sigaretta elettronica. I ricercatori hanno dichiarato che, per questa specifica condizione, il rischio per gli utilizzatori di e-cig che erano stati o che erano ancora fumatori era più alto anche in comparazione con i soli fumatori. Se parliamo di un rischio maggior o minore ovviamente ci aspettiamo che siano stati analizzati i fattori temporali necessari per poter determinare il rapporto causa-effetto: in questo caso, l’esposizione al vaping doveva precedere di gran lunga lo sviluppo della patologia. E invece, all’interno del report utilizzato per inferire i dati, non erano contenuti elementi utili quali le tempistiche di inizio dell’abitudine allo svapo o il momento in cui si era sviluppata la patologia.
E questo non rappresenta un caso isolato. Ovviamente, al contrario, esempi di una cosiddetta “buona scienza” esistono: i colleghi Rodu e Plurphanswat hanno inserito nel loro studio pubblicato recentemente sia l’età specifica dell’insorgenza di una malattia sia quella relativa all’inizio del consumo di tabacco o della nicotina. Dati alla mano, i casi di malattia che si sono verificati dopo l’esposizione al fumo hanno rappresentato il 97% di tutti i casi di Bpco, il 96% di enfisema, il 98% di infarto del miocardio e il 93% di ictus. Inoltre, molte dei casi di diagnosi avvenivano tra coloro che avevano iniziato a fumare prima dei diciotto anni di età. Ed è proprio nel campo della ricerca nel settore della riduzione del danno che ci troviamo di fronte a un paradosso più unico che raro: il pubblico di fumatori e svapatori vuole esercitare il proprio diritto alla scelta cercando conferma tra le risposte che la scienza cerca di fornire. Eppure, non riesce ad avere un quadro completo od omogeneo poiché la letteratura è frammentaria e spesso oggetto di forti pressioni identitarie a favore o contro una certa narrativa, a scapito di ciò che magari potrebbe sembrare più “giusto”. Lo stesso processo di revisione pre-pubblicazione è fallace e non identifica appieno alcune gravi falle nella struttura e nel design della ricerca scientifica.

Ricercatori del Centro di ricerca per la riduzione del danno da fumo (Coehar) dell’Università di Catania

Dati simili sono emersi da una review condotta dalla professoressa Renèe O’Leary, ricercatrice del Coehar a capo del progetto In Silico Science, che sta operando una massiccia revisione degli studi scientifici sulle sigarette elettroniche: nella sua ultima review ha analizzato oltre 25 studi per un totale di 1820 fumatori in merito alle possibili implicazioni cardiovascolari dell’uso di e-cig. È emerso che svapare non comporta alcun rischio aggiunto rispetto al fumo combusto. Una review che è entrata anche nel dettaglio della metodologia e degli strumenti utilizzati e che ha tratteggiato un quadro piuttosto critico della situazione, con la maggior parte degli studi analizzati che presentavano lacune o limitazioni strutturali evidenti e gravi. Ad esempio, tra le cause principali di un basso grado di accuratezza scientifica vi erano problematiche relative ai campioni studiati: o i soggetti erano giovani adulti, oppure appartenevano a un singolo genere oppure, e nel complesso, la categoria di campioni studiati non era rappresentativa o presente in un numero troppo ristretto. I ricercatori del progetto hanno inoltre individuato specifiche problematiche anche per quanto riguardava gli schemi di consumo del tabacco o della sigaretta elettronica: si è notato che questi schemi si riferivano a livelli troppo lievi o troppo elevati di utilizzo. In alcuni casi, invece, i protocolli di svapo non replicavano l’esperienza reale dei consumatori.
Il lavoro del divulgatore scientifico nel campo della riduzione del rischio applicata al consumo del tabacco non è facile: a remare contro una narrativa efficace e trasparente concorrono interessi più elevati della possibilità di esercitare il proprio diritto alla salute in autonomia. In molti Stati, è lo stesso governo partecipe delle quote di monopolio o della commercializzazione dei prodotti del tabacco, per cui inserire un prodotto alternativo, che molto spesso è espressione di un’industria più piccola e privata, significherebbe una perdita di introiti. In altri casi, il principio precauzionale vince sulla stessa evidenza scientifica: la gran parte della narrativa anti vaping si basa sull’idea che, proprio perché per le patologie fumo correlate si è dovuto attendere un periodo di oltre cinquant’anni per determinarne il rapporto con il fumo di sigaretta, allora significa allo stesso modo che il fumo elettrico è presente sul mercato da troppo poco tempo per poter dare risposte certe.
Ma le prove ormai sono evidenti e i nessi di causalità provati. È ovvio che bisogna ancora continuare a fare ricerca per fornire risposte chiare e precise, ma è altresì chiaro che le sigarette elettroniche sono meno rischiose di quelle convenzionali. E allora cosa stiamo aspettando? Auspico che per il 2023 riusciremo a compattare un fronte organizzato ma disunito, per aumentare la pressione sui legislatori e sull’opinione pubblica e riuscire finalmente a far sentire la nostra voce in maniera chiara e distinta.
Se davvero vogliamo apportare un cambiamento e riunire il fronte diviso della scienza e dell’opinione pubblica in merito ai benefici del fumo elettronico, abbiamo bisogno di maggiore fiducia, di più onestà intellettuale e di una capacità valutativa critica e super partes in merito alla ricerca scientifica. Non possiamo perdere la più grande opportunità degli ultimi decenni in termini di prevenzione e tutela della salute pubblica.

L’autore: Riccardo Polosa è ordinario di Medicina interna all’Università di Catania, fondatore del Coehar.

(articolo tratto da Sigmagazine #36 gennaio-febbraio 2023)

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