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Inghilterra, il nesso fra uso di sigarette elettroniche e calo dei fumatori

La correlazione fra i successi nella lotta al fumo e le politiche di riduzione del danno delle istituzioni sanitarie britanniche è evidente.

Dopo i numeri, arrivano anche le interpretazioni. Le autorità sanitarie britanniche festeggiano giustamente i dati del rapporto “Statistics on smoking” pubblicato ieri, che dimostrano una diminuzione costante del numero dei fumatori in Inghilterra. Qui nel 2017 i fumatori erano 6,1 milioni, il 14,9 per cento della popolazione, al di sotto della media del Regno Unito (15,1 per cento). È un successo che mette il Paese, ancora una volta, al secondo posto fra gli Stati europei per minor numero di fumatori, secondo solo alla Svezia.
Questi successi non sono, però, frutto del caso o di una particolare congiuntura astrale verificatasi nei cieli dell’estremo nord-ovest del Continente europeo. Sono figli di una precisa e coraggiosa politica antifumo, basata sulla concretezza e sulla scienza, che ha portato le istituzioni sanitarie ad abbandonare posizioni moralistiche e ideologiche per puntare decisamente sulla riduzione del danno. In Gran Bretagna si è scelto il bene invece del meglio e, una volta individuata una strada, la si percorre con decisione e senza ipocrisie.
Da alcuni anni a questa parte, la sanità britannica ha scelto di sostenere e promuovere attivamente la sigaretta elettronica, assumendo il ruolo di guida e di punto di riferimento per tutti quei Paesi che credono nella riduzione del danno e per le associazioni e gli individui che conducono battaglie più o meno solitarie in Stati, come l’Italia, in cui vige un esasperato principio di massima precauzione. Il confronto con il nostro Paese, è inutile nasconderlo, è impietoso. Dopo anni in cui la situazione rimaneva in stallo, l’ultimo rapporto dell’Istituto superiore di sanità ha segnalato per la prima volta un leggero aumento dei fumatori, che ora sono 12,2 milioni, esattamente il doppio di quelli inglesi.
Eppure le istituzioni non fanno autocritica, sembrano accettare questi insuccessi come uno scherzo del destino cinico e baro, rimanendo tetragone nelle loro convinzioni. Gli strumenti di riduzione del danno, come la sigaretta elettronica, non hanno cittadinanza nelle strategie del Ministero della salute e vengono, anzi, demonizzate e disincentivate, mentre si continua a puntare tutto sui centri antifumo (che fanno numeri purtroppo trascurabili) e su campagne pubblicitarie che, onestamente, non comunicano niente a nessuno.
In Gran Bretagna, invece, il nesso fra diffusione delle ecig e calo dei fumatori è evidenziato e celebrato. Lo dice chiaramente anche Public Health England in un articolo che illustra di dati del rapporto, pubblicato ieri sul suo sito. In Inghilterra gli utilizzatori di sigaretta elettronica sono circa 2,5 milioni, oltre la metà di questi, il 51 per cento, ha completamente smesso di fumare, mentre il 45 per cento è dual user. Ma da questi numeri si evince anche altro. Intanto emerge un dato importante: sono 770mila le persone che hanno smesso sia di fumare che di svapare, cioè coloro per i quali l’ecig è stata uno strumento di transizione. È poi importante notare come la percentuale di vaper abituali che non era già fumatore è un trascurabile 0,4 per cento. Dunque il timore che il vaping attiri i non fumatori non pare trovare riscontro nella realtà.
L’atro dato rilevante riguarda l’età dei vaper: i gruppi in cui l’utilizzo è più alto sono fra i 25 e i 34 anni e fra i 35 e i 49, con una prevalenza generale degli uomini sulle donne. Dati che dovrebbero tranquillizzare chi prefigura un’epidemia di vaping fra i minori o fra i non fumatori. L’Inghilterra ci dimostra che dove si cerca di fare una giusta informazione sul vaping, i numeri parlano chiaro: si ricorre all’ecig per smettere di fumare, spesso ci si riesce e qualche volta si smette anche di svapare. E, di conseguenza, il numero dei fumatori diminuisce.
(Foto di copertina: Public Health England)

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