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Non bisogna vietare le sigarette elettroniche nei Paesi a medio e basso reddito

La rete di consumatori Innco in un documento definisce "colonialismo filantropico" gli appelli per i divieti sugli strumenti di harm reduction.

Parla di “colonialismo filantropico” la rete internazionale di associazioni dei consumatori di nicotina Innco nel suo nuovo documento che affronta il tema degli strumenti di riduzione del danno da fumo, come le sigarette elettroniche, nei Paesi a medio e basso reddito. Il riferimento, per nulla velato, è a Michael Bloomberg, il miliardario americano che nell’ultimo anno ha messo in campo una potenza di fuoco (e di dollari) contro il vaping e il tabacco riscaldato. Nel 2020, infatti, l’organizzazione The international union against tubercolosis and lung disease (nota come The Union), partner della Initiative to reduce tobacco use di Bloomberg, ha suggerito in un position paper di vietare completamente tutti i prodotti elettronici per la somministrazione di nicotina e i riscaldatori di tabacco nei Paesi a medio e basso reddito.
Un attivismo che non si ferma ai documenti e alla persuasione, come dimostra la vicenda ancora tutta da chiarire venuta alla luce lo scorso ottobre nelle Filippine. Proprio The Union e Initiative di Bloomberg, infatti, hanno corrisposto  somme all’agenzia governativa filippina mentre questa stava elaborando la normativa sui prodotti a rischio ridotto, presumibilmente per orientare l’agenzia in senso restrittivo. Il documento pubblicato ieri da Innco si incarica proprio di rispondere a queste istanze proibizioniste, offrendo dieci ragioni per non vietare i prodotti di riduzione del danno da fumo.
Le motivazioni, che trovano ampia elaborazione nel documento, sono le seguenti:

  • i divieti sono una soluzione troppo semplicistica a una questione complessa e non funzioneranno
  • è illogico preferire di vietare le alternative a danno ridotto piuttosto che le sigarette
  • la riduzione e la sostituzione sono dei validi obiettivi per i fumatori nei Paesi a medio e basso reddito
  • i fumatori hanno il diritto di ridurre il proprio rischio di danno
  • le alternative a danno ridotto possono contribuire in maniera significativa agli obiettivi del controllo del tabacco mondiale
  • la mancanza di ricerca scientifica nei Paesi a medio e basso reddito non è un motivo valido per vietare le alternative a danno ridotto
  • in questi Paesi l’approccio proibizionista è obsoleto, irrealistico e paternalistico
  • i divieti causeranno mercati illeciti con aumento della criminalità e nessun gettito fiscale
  • vietare le alternative a danno ridotto farà tornare i fumatori a fumare e causerà maggior danno
  • i divieti totale indiscriminato nei Paesi a medio e basso reddito rappresentano una forma di “colonialismo filantropico”

Un punto su cui si sofferma nell’introduzione il presidente di Innco, l’indiano Samrat Chowdhery. “I Paesi a medio e basso reddito – spiega – rappresentano una varietà eterogenea e complessa. Strumenti bruschi come il divieto assoluto sui prodotti alternativi non miglioreranno la situazione, anzi credo che la peggioreranno. Ogni individuo merita il diritto di scegliere il proprio percorso per migliorare la propria salute”. “Quindi – conclude Chowdhery, citando uno slogan dei consumatori – a nome dei cittadini di questi Paesi diciamo forte e chiaro: niente su di noi senza di noi”.

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