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Tutti i difetti dello studio che dice che l’e-cig non aiuta a smettere di fumare

Accademici britannici parlano di "studio gravemente fallace", sottolineando che il fumo fra gli adolescenti americani è al minimo storico.

Sta facendo molto discutere una research letter pubblicata ieri, martedì 22 marzo, su Jama Network e intitolata “Failed Attempts to Quit Combustible Cigarettes and e-Cigarettes Among US Adolescents”. Gli autori dello studio in questione, un gruppo di ricercatori della University of Michigan e della University of Southern California coordinato da Richard Miech, hanno analizzato il tasso di insuccesso dei tentativi di smettere di fumare fra gli adolescenti basandosi sui dati dell’indagine Monitoring the future dal 1997 al 2020. In totale 815.690, compresi i 9065 del 2020, il primo anno in cui i ricercatori hanno incluso anche la domanda relativa ai tentativi di smettere di svapare nicotina, cioè di utilizzare la sigaretta elettronica. I ricercatori hanno rilevato che, mentre le cessazioni riuscite erano in aumento costante, il 2020 ha segnato una battuta di arresto, con i tentativi falliti passati al 2,2% dall’1,3% dell’anno precedente (che diventa del 4,1% se si considerano solo le e-cigarette). Da questo gli autori concludono che “le sigarette elettroniche  contribuiscono in maniera sostanziale al fallimento dei tentativi di cessazione fra gli adolescenti”, invitando il governo americano 8a tenerlo in considerazione quando norma il vaping.
Una conclusione piuttosto disinvolta secondo altri studiosi. Di “studio gravemente fallace” parla infatti Lion Shahab, docente di Psicologia della salute e condirettore del Tobacco and Alcohol Research Group dello University College di Londra. Secondo lui, il lavoro scientifico “non fornisce alcuna prova valida che le sigarette elettroniche rendano più difficile smettere di fumare” e anzi “vi sono evidenze di gran lunga migliori a livello di popolazione che dimostrano che i tassi di fumo tra i giovani negli Stati Uniti sono precipitati a livelli senza precedenti negli ultimi anni, nonostante il crescente uso di sigarette elettroniche”. Il riferimento è chiaramente agli ultimi dati diffusi dai Cdc, che vedono il fumo fra gli adolescenti arrivato al minimo storico dell’1,5%.
L’analisi – continua Shahab – confronta le mele con le pere, poiché i dati fino al 2020 includono solo i tassi di tentativi di cessazione delle sigarette, mentre nel 2020 includono anche i tentativi di abbandono delle sigarette elettroniche. Se si confrontano simili con simili, il tasso di tentativi di smettere di fumare senza successo è più alto nel 2020 rispetto solo 2019”. In secondo luogo, spiega il docente, non solo non si è tenuto conto di influenze a livello di popolazione che possono aver determinato cambiamenti nei tentativi di cessazione, come per esempio l’innalzamento del divieto di vendita delle sigarette dai 18 ai 21 anni. Ma soprattutto non si è considerato che il 2020 è l’anno in cui la pandemia di Covid-19 ha colpito tutto il mondo e anche gli Usa, con i suoi corollari ambientali sociali e psicologici che hanno influenzato i tentativi di cessazione, ma anche la stessa indagine. La raccolta dati infatti si è conclusa prima del normale, risultando in un campione più piccolo che rende problematico un confronto diretto.
Considerando tutti questi problemi – continua il docente – non è chiaro cosa concludere da questi risultati, soprattutto perché gli ultimi dati rappresentativi a livello nazionale negli Stati Uniti mostrano che la prevalenza dell’uso del prodotto del tabacco più dannoso, le sigarette combustibili, da parte dei giovani statunitensi nel 2021 ha raggiunto il tasso più basso mai registrato, l’1,5%. Le implicazioni di questo documento – che le sigarette elettroniche prevengono la cessazione del fumo – sono contraddette non solo dai dati sulla popolazione statunitense, ma anche da numerosi studi randomizzati controllati di alta qualità, che mostrano una chiara efficacia delle sigarette elettroniche nell’aiutare i fumatori a smettere di fumare. Le sigarette elettroniche hanno un ruolo chiaro da svolgere come parte di una strategia per raggiungere l’obiettivo di sconfiggere il fumo”.
Anche Martin Jarvis, professore emerito di Psicologia della salute dello University College di Londra, critica quelle che definisce le “numerose debolezze dell’analisi”. Prima di tutto, spiega, viene definito “utente” (cioè fumatore o svapatore) chi abbia mai provato a fumare o a svapare, mentre in altre indagini viene considerato il consumo negli ultimi 30 giorni. Poi, continua Jarvis, la definizione di “tentativo di smettere” è molto vaga. Ma, soprattutto, “gli autori presumono che le sigarette e le sigarette elettroniche forniscano livelli simili di nicotina con un potenziale di dipendenza simile, mentre in raltà, oltre a una tossicità notevolmente ridotta, ci sono buone prove che i vaper che non hanno mai fumato siano molto meno dipendenti”.
Questa breve lettera di ricerca – conclude Jarvis – non aggiunge elementi utili alla nostra comprensione dell’impatto sulla salute pubblica dello svapo di nicotina negli adolescenti. Fornisce alcune informazioni sui tentativi di cessazione falliti ma non li confronta quelli andati a buon fine, quindi non è chiaro cosa impariamo da questo. Per quanto riguarda i numeri che contano davvero, vediamo che i tassi di fumo degli adolescenti negli Stati Uniti stanno scendendo molto rapidamente ai minimi storici”.

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