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Sigarette elettroniche e fumo, tasse proporzionate al grado di tossicità

Marco Spallone (Luiss Guido Carli): "Le scelte future del legislatore, in particolare in materia di fiscalità e tassazione, devono tenere conto dei risultati scientifici in materia di minor tossicità della sigaretta elettronica rispetto al fumo tradizionale”.

Le scelte future del legislatore, in particolare in materia di fiscalità e tassazione, devono tenere conto dei risultati scientifici in materia di minor tossicità della sigaretta elettronica rispetto al fumo tradizionale”. È quanto emerso nel corso della presentazione della ricerca condotta da Marco Spallone, docente di economia alla Luiss di Roma e coordinatore del Centro Arcelli di studi monetari e finanziari. In sostanza, la scala di pressione fiscale dovrebbe corrispondere alla scala di tossicità che, in ordine crescente dal meno pericoloso al più pericoloso, è: sigaretta elettronica, riscaldatori di tabacco, tabacco trinciato, sigarette tradizionali, sigari.
Nonostante il vaping rappresenti ancora soltanto l’1,4 per cento del mercato globale del tabacco, il rapido trend di crescita ha sin da subito suscitato l’interesse del legislatore fiscale. In mancanza, però, di un approccio armonizzato a livello europeo. Ogni Paese, infatti, tende a intervenire senza una linea comune. Al Regno Unito che ha scelto di non tassare alcun prodotto o accessorio del vaping fa da contraltare ad esempio il Portogallo che ha introdotto una tassa di circa 5 euro per 10 millilitri di eliquid. Importo corrispondente a quello italiano prima della “riforma Saviane” dello scorso anno che ha abbassato dell’80 e del 90 per cento l’imposta di consumo sui liquidi con e senza nicotina.
Secondo Spallone, rispetto ai prodotti del tabacco tradizionale, le differenze esistono anche nella distribuzione e nella rete vendita. “Mentre i big player del tabacco sono quattro, nel mondo della sigaretta elettroniche abbiamo centinaia di aziende che producono migliaia di prodotti”. Nel portale europeo di raccolta delle notifiche risulta che la Germania è il mercato con il numero maggiore di prodotti: 122 mila. L’Italia è al secondo posto con circa 44 mila, seguita da Regno Unito (38 mila) e Francia (33 mila).
Da un punto di vista industriale il mercato delle sigarette elettroniche è molto più frammentato di quello dei prodotti tradizionali del tabacco (caratterizzato da un numero limitato di produttori e canali di vendita), sia dal lato della produzione che da quello della distribuzione. Una frammentazione che implica una maggiore complessità di gestione della raccolta erariale. Inoltre, da un punto di vista normativo, non esiste ancora un quadro europeo di riferimento sulla fiscalità di questi prodotti. La scelta del regime fiscale è dunque cruciale per il futuro del mercato. L’andamento della domanda di sigarette elettroniche, infatti, sembra risentire del peso della fiscalità. Gli esiti dell’indagine mostrano infatti che il potenziale rischio ridotto della sigaretta elettronica, come risulta da alcuni studi scientifici, dovrebbe indurre ad una tassazione diversa ed inferiore rispetto alle sigarette tradizionali, parametrando una eventuale accisa proprio rispetto ai minori costi sulla spesa sanitaria pubblica dei fumatori che sono passati alle sigarette di nuova tecnologia e a minore impatto sulla salute. Un ulteriore elemento di complessità nella scelta del Legislatore è dato dal potenziale commercio illecito. Infatti, nonostante il divieto di vendite transfrontaliere online, una tassazione particolarmente svantaggiosa rispetto ad altri Paesi potrebbe determinare il trasferimento dei produttori nelle aree con minori oneri fiscali”. Per quanto riguarda l’Italia, conclude Spallone, “l’inasprimento della tassazione ha prodotto una forte riduzione dei volumi di vendita fra il 2016 e il 2017. Nel 2018 il governo ha introdotto una tassazione più lieveProprio nel 2018 i volumi di vendita sono cresciuti del 4,5 per cento e si prevede che per il 2019 i volumi cresceranno del 14,5 per cento, per raggiungere il 20 per cento nel 2020”. Numeri, però, calcolati al netto degli agenti di disturbo esterni, come ad esempio il battage mediatico derivante dalla neonata malattia polmonare negli Stati Uniti in grado di infettare qualsiasi previsione.

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