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Rete di distribuzione commerciale: quale scegliere e come tutelarsi

Affidarsi a una rete distributiva è tra le prime misure a cui pensare in fase di commercializzazione del prodotto. Ma non è così semplice districarsi tra le varie possibilità contrattuali e giuridiche.

Il controllo sulla distribuzione commerciale, intesa quale serie di attività che contribuiscono a mettere in relazione la fase di produzione con la fase finale di consumo, viene eminentemente in considerazione laddove il produttore si affidi ad una serie di operatori economici giuridicamente autonomi ed estranei alla propria struttura imprenditoriale.

Distribuzione proprietaria (diretta) e distribuzione indiretta

I sistemi di integrazione verticale di tipo proprietario, ovvero di vendita diretta da parte del produttore (distribuzione diretta), essenzialmente evitano l’incontrollata circolazione dei propri prodotti, laddove i sistemi di distribuzione cosiddetta indiretta, espongono potenzialmente agli inconvenienti derivanti da una vendita non autorizzata, e quindi soggetta alla libera determinazione in ordine a termini e condizioni applicate agli acquirenti. È pur vero che anche i produttori in vendita diretta o che adottano sistemi distributivi proprietari, possono in qualche caso limite incorrere in problematiche determinate da condotte emulative (cioè al solo scopo di nuocere al produttore) ovvero poste in essere per fregiarsi della rivendita di un determinato prodotto. Come nel caso delle cosiddette “batch” limitate da cui fuoriesca una serie di prodotti andando a costituire un incontrollato secondary market, la cui protezione potrebbe essere fornita, come si vedrà in seguito, dalla tutela sulla concorrenza e/o sui diritti di privativa, sostanzialmente marchi e modelli nel mercato che ci occupa.

La distribuzione “selettiva”

Tornando alla distribuzione indiretta, è la contrattualizzazione degli accordi intercorrenti con gli operatori che determina il grado di penetrazione e controllo sulla rete; in particolare, facendosi più stringente attraverso l’adozione di sistemi di distribuzione “selettiva”, tramite cui i prodotti vengono commercializzati esclusivamente da una rete di distributori selezionati, sulla scorta di determinati criteri qualitativi e/o quantitativi. Il fulcro della distribuzione selettiva è costituito, per l’appunto, dall’obbligo di rivendita dei propri prodotti all’interno della rete e/o esclusivamente al consumatore finale, per evitare che i prodotti in questione circolino al di fuori di essa. Il produttore mira, in tal modo, ad assicurare il livello qualitativo desiderato per l’offerta dei propri prodotti, e quindi al mantenimento di standard relativi non solo alla vendita, ma anche ai servizi di prevendita (promozione e informativa precontrattuale) ed assistenza post vendita; con ciò, sostanzialmente, preservando il valore della propria azienda e del proprio marchio, se è vero che spesso è proprio la selezione dei punti vendita ad ingenerare nel pubblico l’immagine di qualità del prodotto. Si pensi al produttore di e-cig, dispositivi o liquidi che intenda evitare la messa in vendita dei propri prodotti in siti web di dubbia popolarità, negozi di bassa qualità o “clone-oriented”.
Inoltre, il mantenimento di determinati standard, particolarmente necessario nei settori merceologici di lusso o alta tecnologia, pare altrettanto importante in un settore come quello della sigaretta elettronica, dove l’utilizzo dei prodotti interferisce direttamente con la tutela della sicurezza e della salute dei clienti.
L’essenziale completamento dell’analisi dei benefici derivanti da un sistema di distribuzione selettiva, comprende la necessità di evitare i fenomeni di free riding – inteso quale condotta posta in essere dai distributori concorrenti intrabrand i quali, non offrendo eguali servizi in termini qualitativi e/o quantitativi godrebbero in tal modo di un ingiusto vantaggio competitivo a scapito dell’immagine di marchio e azienda produttrice – e di loss leaders – pratica del rivenditore indipendente che acquista quantitativi limitati, magari rivendendoli sotto-costo, al solo scopo di attirare la platea dei consumatori grazie al pregio e alla rinomanza del marchio dell’azienda produttrice.

Contrattualizzazione degli accordi di distribuzione

Il sistema di distribuzione selettivo basato sull’istituzione di una serie di rivenditori autorizzati poggia naturalmente sull’efficienza degli accordi contrattuali istituiti con i propri distributori/dettaglianti; tale sistema beneficerà di una presunzione di legalità in virtù del regime delle esenzioni previste per gli accordi verticali a livello comunitario, laddove fornitore e acquirente detengano una quota non eccedente il 30% sui rispettivi mercati. In tal modo, le imposizioni relative alla qualità dei servizi offerti potranno essere garantite tramite la previsione di clausole che determinino gli standard esigibili nelle fasi di prevendita, vendita e post vendita. Il controllo sulla circolazione del prodotto avverrà, altresì, attraverso le clausole istitutive di esclusive, quantitativi e limitazioni alla rivendita, come quella che, ad esempio, imponga al dettagliante la rivendita esclusivamente al consumatore.
A tal fine, ulteriormente utili sono i sistemi di identificazione delle unità di prodotto (ad esempio la serializzazione, il codice a barre, ecc.) che ne consentono il tracciamento e quindi la ricostruzione dei flussi nel circuito di rivendita fino all’operatore eventualmente non autorizzato.

Tutela nei confronti dei terzi non autorizzati

Non sfugge il fatto che la circolazione extra-rete espone potenzialmente i soli rivenditori autorizzati alle sanzioni derivanti da eventuali violazioni contrattuali (penali, richieste risarcitorie, ritiro dell’autorizzazione), mentre non conferisce al produttore in via diretta alcuna tutela nei confronti dei terzi, in quanto non vincolati da alcun accordo. Sul punto, la giurisprudenza comunitaria da tempo ha statuito il principio per cui l’esistenza di una rete di distribuzione selettiva nel settore degli articoli di lusso o di prestigio, può costituire un superamento del cosiddetto principio di “esaurimento” del marchio (tradotto nel nostro ordinamento all’art. 5 del C.P.I.), in virtù del quale i diritti di privativa del titolare di un marchio si “esauriscono”, appunto, con la prima immissione in commercio del bene protetto. Conseguentemente si è stabilito che il titolare di un marchio, che adotti un valido e giustificato sistema di distribuzione selettiva, possa opporsi con l’azione di contraffazione alla rivendita dei suoi prodotti da parte di terzi non autorizzati (CGCE 23/04/2009 caso C-59/08 Copad/Christian Dior e SIL).
Anche la giurisprudenza nazionale, facendo proprie tali considerazioni, ha concesso l’inibitoria alla commercializzazione da parte di rivenditori non autorizzati, nel caso di modalità di vendita in contrasto con gli standard qualitativi richiesti ai distributori autorizzati, in quanto gravemente lesive del prestigio del marchio in titolarità al produttore (cfr. Trib. Milano, ord. 19/11/2018; conforme Trib. Milano, ord. 18/12/2018). Il superamento del principio di esaurimento del marchio, che ha trovato applicazione con riferimento ai beni di lusso e di prestigio, potrebbe essere invocato in concreto anche con riferimento a prodotti tecnologici e/o riguardanti la salute degli utilizzatori, come dispositivi e liquidi per sigaretta elettronica, assumendone la rilevanza a costituire quei motivi “legittimi” ai sensi dell’art. 5 comma 2 C.P.I., quindi ostativi all’applicazione dello stesso principio.
È bene tener presente che la condotta dei rivenditori terzi privi di autorizzazione è stata in ambito nazionale censurata anche sotto il profilo della contrarietà all’art. 2598 n. 3 c.c., e quindi costituente atto di concorrenza sleale, stabilendo che “costituisce atto di concorrenza sleale la condotta consistente nel continuare a vendere prodotti di una certa marca anche dopo che il produttore ha reso noto che esiste un sistema di distribuzione selettiva fondato su accordi verticali. Tale condotta rischia di vanificare, almeno parzialmente, gli investimenti fatti dal produttore per promuovere i prodotti ed il marchio e per garantirsi il consolidamento dell’immagine e la fidelizzazione di una certa fascia di consumatori” (così Trib. Palermo, ord., 28 febbraio 2013).
In tutti i precedenti summenzionati, la conoscenza da parte del terzo dell’esistenza della rete selettiva, vale a escluderne la buona fede; pertanto risulta consigliabile che il produttore manifesti al pubblico l’esistenza di tale rete (ad esempio nei propri canali di comunicazione istituzionali) e in ogni caso che ne dia previa comunicazione al terzo una volta appresa la condotta non autorizzata, intimandone la cessazione. In conclusione, seppure estraneo ai patti contrattuali, la condotta del terzo rivenditore non autorizzato potrebbe essere censurabile sia sotto il profilo dell’azione di contraffazione che della concorrenza sleale, laddove lesiva dei diritti di privativa in titolarità del produttore che adotti una giustificata e legittima rete di distribuzione selettiva.

L’autore: Iacopo Annese è avvocato specializzato in diritto commerciale, civile e fallimentare presso il Foro di Bologna.

(articolo tratto da Sigmagazine #23 novembre-dicembre 2020)

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