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Processo alla sigaretta elettronica: politiche americane e britanniche a confronto

Uno studio del Pacific Research Institute invita gli Stati Uniti ad abbandonare la politica dannosa e inefficace dei divieti prendendo invece a modello il Regno Unito..

Ci sono lezioni importanti che i politici statunitensi potrebbero imparare dal contesto fiscale e regolatorio del Regno Unito per quanto riguarda le sigarette elettroniche. È questa la tesi che Roger Bate, ricercatore in politiche sanitarie e dello sviluppo internazionali con un interesse particolare per la medicina, esprime in uno studio appena pubblicato per il Pacific Research Institute, think tank indipendente con sede a San Francisco attivo dal 1979. Nel lavoro intitolato “Vaping on trial: a comparison of UK and US policies” (Processo al vaping: una comparazione fra le politiche degli Usa e del Regno Unito) denuncia la tendenza delle istituzioni sanitarie e dei gruppi di pressione americani di criticare la sigaretta elettronica, senza riconoscere i vantaggi che essa comporta per i fumatori alla ricerca di una alternativa meno rischiosa.
Mentre il Regno Unito impone tasse e regolamenti in base al rischio relativo del vaping rispetto al fumo, l’approccio statunitense si concentra solo sui rischi assoluti della sigaretta elettronica – scrive Bate – Ostacolare nuovi prodotti nega ai fumatori la facoltà di provare strumenti che potrebbero migliorare loro la vita o ridurre i rischi relativi. Svapare comporta dei rischi, ma sono significativamente inferiori a quelli del fumo”. Partendo da questa riflessione, l’autore descrive l’abisso fra l’approccio agli strumenti di riduzione del danno da fumo dei due Paesi, che sfocia in politiche diametralmente opposte. Il Regno Unito considera ormai saldamente la sigaretta elettronica un fondamentale alleato per sconfiggere il fumo, mentre gli Stati Uniti sono sempre più preda di derive proibizioniste.
Derive che poi danno quasi sempre risultati molto diversi da quelli sperati. Come è successo proprio a San Francisco, città che ospita il Pacific Research Institute. Qui, racconta Bate, il divieto sui liquidi per sigarette elettroniche aromatizzati introdotto nel 2018 si è tradotto in un aumento dei fumatori proprio fra quei minori che si intendeva proteggere, come dimostrato da uno studio di Abigail Friedman dell’Università di Yale. Roger Bate si addentra anche nella letteratura scientifica, citando numerosi studi clinici a dimostrazione che l’e-cigarette è più efficace degli altri metodi per smettere di fumare. E, sempre scienza alla mano, smentisce la teoria che il vaping induca al fumo (il cosiddetto “gateway effect”) o lo rinormalizzi. Teorie che, purtroppo, trovano seguito fra la maggior parte dei medici americani che, al contrario dei colleghi britannici, sono restii a consigliare l’e-cig ai pazienti fumatori.
L’autore invita, dunque, i legislatori degli Usa a seguire l’esempio del Regno Unito e, in particolare: discutere i vantaggi della sigaretta elettronica paragonandola ai pericoli del fumo e dando al pubblico una corretta informazione, basata sulla scienza; diminuire le tasse sui prodotti del vaping per incoraggiare i fumatori a passare a alternative meno rischiose; incoraggiare la Food and drug administration ad approvare le e-cig come nuovi strumenti di riduzione del danno; eliminare tutti i divieti e le restrizioni che possano spingere i consumatori a tornare alle sigarette tradizionali.
Ci sono rischi derivanti dallo svapo, ma sono significativamente inferiori rispetto al fumo – conclude Bate – Il Regno Unito incoraggia il vaping come parte del percorso per smettere di fumare. In quanto tale, la posizione politica del Regno Unito riconosce l’agire umano e le interazioni della vita reale: le motivazioni e le esigenze dei fumatori esistenti, così come l’attrazione che gli adolescenti avranno sempre per il frutto proibito. I divieti e le restrizioni alle sigarette elettroniche sono cattive idee che sicuramente ci si ritorceranno contro”.

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