Testata giornalistica destinata agli operatori del settore delle sigarette elettroniche - Registrazione Tribunale di Roma: 234/2015; Registro Operatori della Comunicazione: 29956/2017 - Best Edizioni srls, viale Bruno Buozzi 47, Roma - Partita Iva 14153851002

Sigarette elettroniche e proibizionismo, una ricetta che non funziona

I casi dell'Australia, degli Stati Uniti e, ultimamente, del Regno Unito insegnano che quando si cerca di vietare qualcosa di grande richiesta, c'è sempre qualcuno che si fa avanti per soddisfarla.

La storia ha insegnato che il proibizionismo ha qualche possibilità di funzionare solo se applicato a prodotti con bassa diffusione e quindi bassa domanda. Quando invece si cerca di vietare prodotti per i quali c’è una grande richiesta, accade che qualcuno si faccia avanti per soddisfarla. Si crea dunque un mercato sommerso, in mano alla criminalità, che di norma non rende il prodotto che si cerca di vietare meno accessibile ma solo meno controllato e, in definitiva, più pericoloso per i consumatori. Oltre a regalare grandi profitti a chi opera nell’ombra, sottraendo invece introiti allo Stato.
È accaduto con l’alcool negli Stati Uniti durante gli anni Venti del secolo scorso, accade con le varie droghe che, ben lontane dall’essere debellate, sono saldamente in mano alla criminalità, e sta accadendo in Australia con le sigarette elettroniche. Nel paese l’e-cigarette con nicotina non è tecnicamente vietata, ma il complesso sistema ideato dal governo per l’approvvigionamento crea, secondo tutti gli osservatori, un divieto de facto. E da quando questa procedura è entrata in vigore nell’ottobre del 2021, con i suoi successivi inasprimenti, l’Australia si è trovata a dover gestire un’invasione di prodotti per il vaping di contrabbando, provenienti soprattutto dalla Cina.
È quanto emerge dalle cronache quotidiane ed è quanto viene analizzato in un documento intitolato “Briefing on the Proibition of Vaping and Organised Crime”, pubblicato la scorsa settimana e redatto dai medici Colin Mendelson, fondatore dell’Australian Tobacco Harm Reduction Associaton, e Alex Wodak dell’Alcohol e Drug Service del St Vincents’ Hospital di Sydney, insieme a James Martin, criminologo presso la Deakin University di Melbourne, Robert Richter, avvocato penalista e docente di legge presso la Victoria Universtity di Melbourne, e Rohan Pike, già funzionario della Australian Federal Police e fondatore dell’unità contro il contrabbando di tabacco della polizia di dogana australiana.
Secondo il documento più del 90% dell’1,7 milioni di svapatori australiani adulti si è spostato sul mercato nero dopo l’entrata in vigore della regolamentazione restrittiva e si stima che ogni anno 120 milioni di sigarette elettroniche monouso entrino illegalmente nel paese dalla Cina. Si tratta per lo più di prodotti ad alta concentrazione di nicotina, non regolamentati e con scarse indicazioni in etichetta e nessuno di questi, avvertono gli autori, è prodotto dalle aziende del tabacco. Questi dispositivi vengono poi venduti tramite una vasta rete di rivenditori al dettaglio, come tabaccai, convenience store, stazioni di servizio e negozi di sigarette elettroniche, oltre che sui social media.
Come spiega Rohan Pike, questo traffico fa capo agli stessi gruppi criminali che importano tabacco di contrabbando, che poi competono fra loro a suon di violenza per assicurarsi quote di questo mercato illecito. I negozianti al dettaglio spesso sono costretti a vendere i dispositivi illegali, sotto la minaccia di attacchi incendiari. I gruppi criminali, ha spiegato il vice commissario della Polizia di dogana Tim Fitzgerald, si servono della piccola delinquenza per portare a termine le loro intimidazioni. Solo nello Stato di Victoria, trenta tabaccherie sono saltate in aria nell’ultimo anno, mentre recentemente una banda di motociclisti è stata accusata di aver commesso sei attentati incendiari a Melbourne.
Si tratta, d’altronde, di un mercato molto lucroso. Come spiega Pike, una sigaretta elettronica monouso si acquista dalla Cina a 3 dollari australiani (circa 1,80 euro) e si rivende a 35 (21,20 euro). “I margini sono enormi, la sorveglianza è bassa, quindi è un’attività a basso rischio e alto profitto”, commenta. La polizia di frontiera non ha certo le risorse per controllare il traffico illegale in ingresso nel paese. Infatti è controllato solo l’1,4 % dei 6,3 milioni di container che ogni anno arrivano in Australia. “È impossibile fermare questo traffico di e-cig illegali al confine – aggiunge Pike – abbiamo un confine enorme e risorse insufficienti”.
L’Australia sembra quindi stare diventando un caso da manuale sulle conseguenze indesiderate delle politiche dei divieti. E queste non riguardano solo il proliferare della criminalità. Secondo la professoressa Nicole Lee del National Drug and Research Institute di Melbourne, lo spostamento di un commercio dal mercato legale a quello illegale rende più facile e non più difficile l’accesso dei minori alle sigarette elettroniche, perché non ci sono limitazioni su chi può venderle o comprarle. Il fatto che i prodotti del vaping siano vietati e le sigarette di tabacco non lo sono, inoltre, spinge sicuramente molti fumatori a continuare a usare il prodotto di gran lunga più dannoso che però si può acquistare liberamente.
Quale potrebbe essere la soluzione? Quella della legalizzazione. “Per ridurre il mercato nero – spiega Lee – bisogna rendere i vaporizzatori e i liquidi di qualità controllata più ampiamente disponibili, ma limitati agli adulti. Se le persone potessero accedere legalmente ai prodotti del vaping, non li comprerebbero sul mercato nero e il mercato nero diminuirebbe”. Secondo gli autori del documento, quindi, l’Australia dovrebbe allinearsi con gli altri paesi occidentali, consentendo la vendita delle sigarette elettroniche come prodotto di consumo per adulti e solo in punti vendita autorizzati e dietro severo controllo dell’età degli acquirenti. Ma purtroppo sappiamo per esperienza che è molto difficile che i governi tornino indietro, ammettendo di aver commesso degli errori.

Rishi Sunak, premier inglese

Rimane da chiedersi perché, di fronte a fallimenti così eclatanti, i governi fanno sempre fatica a resistere alla tentazione proibizionista. Ne abbiamo un recente esempio in Gran Bretagna, dove per anni si è promosso il vaping fra i fumatori, raggiungendo ottimi risultati in termini di calo dei fumatori, e oggi si parla di vietare le monouso, diffusissime Oltremanica, e addirittura di decimare gli aromi nei liquidi, per far fronte alla diffusione fra i minori. La triste verità è che vietare è una soluzione molto facile per la politica, molto più facile che regolamentare. È anche una soluzione che raccoglie consenso immediato nel pubblico e dà la sensazione di occuparsi seriamente di un problema. Tanto saranno i governi futuri a dover affrontare le conseguenze di politiche miopi e bocciate dalla storia.

LEGGI ANCHE:

Australia, sigaretta elettronica solo con prescrizione del medico

Sigarette elettroniche, il rovinoso fallimento del modello australiano

Articoli correlati