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Vaping, fenomeno inarrestabile. E Big Tabacco ne prende atto.

British American Tabacco punta ad essere presente in venti Paesi entro la fine dell'anno; Philip Morris lavora alla prima vera e propria sigaretta elettronica. Se si muovono i Big significa che il settore del vaping ormai è consolidato e non potrà più arrestare la propria marcia.

Come si capisce se un business è promettente e duraturo oppure è soltanto una bolla destinata a scoppiare? La risposta è più banale di quello che possa sembrare: dall’interesse nel settore dimostrato dalle multinazionali e dagli investimenti che mettono sul piatto. Il vaping è un fenomeno che si è sviluppato dal basso: non per volontà istituzionale, non per volere sanitario e neppure figlio di milionari investimenti pubblicitari. Ad avere la meglio è stato il passaparola tra i consumatori. Negozianti e produttori intraprendenti hanno colto l’occasione scommettendo sulle reali possibilità del settore. Nel 2013, infatti, le pressioni istituzionali e multinazionali andavano controcorrente il comune pensiero dei vaper: la sigaretta elettronica, secondo loro, non avrebbe avuto futuro. O, se lo avesse avuto, sarebbe stato per un arco di tempo relativamente breve. Non sono bastate leggi oppressive, tasse spropositate, campagne mediatiche contrarie per fermare la crescita del vaping. Passaparola tra consumatori, dicevamo, e forti investimenti economici da parte di molte aziende hanno resistito, salvando il settore da una morte prematura. Ed oggi i risultati si cominciano a vedere. I negozi aprono seconde e terze filiali; le aziende produttrici strutturano la forza lavoro; i grossisti e i fornitori selezionano i prodotti da immettere sul mercato. E che il vaping ormai sia consolidato lo dimostrano anche le azioni delle multinazionali, Bat e Philip Morris su tutte. British American Tobacco, in particolare, sta gradatamente proponendo devices sempre meno entry level. Cominciando da una e-pen di prima generazione, è giunta ora alla box varivolt. certamente è tre passi indietro rispetto a quello che propone il mercato del vaping, ma è pur sempre una multinazionale che ragiona, pianifica e soprattutto si muove, su archi temporali pluriennali. Kingsley Wheaton, responsabile Nuovi prodotti Bat, ha dichiarato che entro la fine dell’anno punta ad essere presente in venti Paesi del mondo, raddoppiando dunque il numero attuale. Philip Morris lo scorso mese di novembre aveva dichiarato che entro cinque anni avrebbe smesso la produzione di sigarette per concentrarsi esclusivamente sui vaporizzatori e sul tabacco riscaldato. Un prodotto, quest’ultimo, che non ha nulla a che vedere con la sigaretta elettronica, ma rimane pur sempre uno strumento di riduzione dei danni da tabacco. Producendo fumo, però, è corretto che stia all’interno della normativa sui tabacchi, con tutte le limitazioni e tassazioni del caso. Al contrario del vapore che, invece, non è fumo ma avrebbe necessità di una normativa ad hoc. Mentre Bat produce il proprio riscaldatore, Philip Morris non ha ancora proposta una sua versione di sigaretta elettronica. I laboratori di Neuchatel hanno pronto un prototipo già da anni ma al momento è uno strumento che rimane nei loro cassetti.

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