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Sigaretta elettronica fuori dalla Tpd: senza partecipazione è utopia

La petizione europea Vaping is not tobacco stenta a decollare. L’importante è non gridare al complotto o piangere lacrime di coccodrillo quando il danno sarà irreparabile.

Il vaping – lo dice anche la parola – non è fumo. I liquidi non sono tabacco. Eppure la legge regolamenta la sigaretta elettronica alla stregua della sua lontana parente analogica. E hai voglia a spiegare che no, il vapore non ha le sostanze cancerogene della combustione. Che no, non è la nicotina ad essere tossica ma il catrame. Che no, non esiste alcun problema di vapore passivo perché le particelle si dissolvono dopo pochi secondi. Che no, non si può equiparare un solido (tabacco) con un liquido. Che no, cinque sigarette tradizionali non corrispondono ad un millilitro di e-liquid. Che no, la sigaretta elettronica non provoca gastrite, asma, insufficienza renale, gengivite, infarti, mutazioni genetiche, acqua nei polmoni.
La strada maestra sta per essere tracciata da un gruppo di volenterosi cittadini europei. Sono sette, due dei quali italiani, che hanno pensato di ricorrere ad uno strumento di partecipazione diretta dell’Unione europea e l’hanno chiamato Vaping is not tobacco. Petizione che, se va a buon fine, consentirà al comitato promotore di essere accolto in Commissione e spiegare le ragioni del vaping. Un solo punto su tutti: la sigaretta elettronica non deve essere accomunata al tabacco ma va regolamentata in maniera specifica. Significa ideare una sorta di Direttiva europea sul vaping (Vpd) che sostituisca l’attuale articolo 20 della Tpd. Le regole sono molto chiare: per essere valida, la petizione deve raggiungere 1 milione di firme entro il 20 febbraio 2020. Almeno sette Paesi membri, inoltre, devono raggiungere il quorum minimo di firme. Se queste due condizioni saranno rispettate, allora le istanze del vaping entreranno in Commissione europea. Altrimenti no, vorrà dire che la situazione va bene così come è. E chissà quanti anni passeranno prima di poterne nuovamente discutere.
Dovrebbe essere un obiettivo comune e condiviso. E invece qualcosa non torna, i numeri stanno smentendo qualsivoglia tentativo di riformare la normativa europea. In Italia sono impegnate tutte le maggiori associazioni e il battage social è costante da ormai un paio di mesi. Eppure si fa fatica a raggiungere la soglia necessaria di 54 mila firme. Però attenzione: si tratta del numero minimo di firme per poter esser presi in considerazione. Se si sommano tutti i quorum dei 28 Paesi si arriva a poco più di 550mila firme. Lontanissimi dal milione che è l’obiettivo finale. Se poi si considerano possibili incidenti di percorso – qualche firma non valida, qualche doppia firma, qualche errore formale -le firme necessarie per poter dormire sonni tranquilli dovrebbero essere almeno 1,2 milioni.
Tutto questo, però, è solo nella teoria. Perché nella pratica la situazione dice che questa petizione rischia di non raggiungere il quorum. La somma delle firme di Italia, Germania e Ungheria – i tre Paesi che al momento ne hanno raccolte di più – arriva a poco più di 24 mila. E gli altri? Giusto per fare qualche esempio: dalla Francia hanno firmato 89 persone; 269 dal Regno Unito; 21 dalle tre Repubbliche baltiche; 137 dalla Spagna. Numeri tristi che dimostrano come neppure i diretti interessati, gli operatori del settore, stiano firmando.
Ma perché la petizione non sta funzionando? La risposta potrebbe essere banale: perché tra i promotori c’è una multinazionale del tabacco – Imperial Brands – e quindi chissà dove vuole arrivare. I sospetti potrebbero anche essere leciti, ma quando gli obiettivi sono comuni – e in questo caso lo sono – non dovrebbe esserci alcuna remora a supportare l’iniziativa. Oltretutto, nel board dei sostenitori, sono presenti anche altre realtà multinazionali. C’è ad esempio British American Tobacco, rappresentata dall’associazione France Vapotage ma c’è anche l’associazione New Nicotine Alliance, che nel proprio statuto sostiene di non ricevere alcun contributo dalle aziende che commercializzano la nicotina sotto qualunque forma. E c’è anche la Lega Italiana Antifumo, la creatura plasmata da Riccardo Polosa che proprio qualche giorno fa ha presentato nove progetti di ricerca insieme alla Fondazione Smoke-free World; ma ci sono anche le maggiori associazioni di produttori, negozianti e consumatori di sigarette elettroniche.
Insomma, si può dire che in maniera diretta o indiretta, tutti i Big Player e gli operatori del settore stanno supportando l’iniziativa e la raccolta firme. Eppure ancora stenta a decollare. Qualcosa non torna, l’importante è non gridare al complotto o piangere lacrime di coccodrillo quando il danno sarà irreparabile.

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