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Dal 2008 ad oggi gli scenari del vaping sono cambiati innumerevoli volte, gettando il comparto in cicliche crisi. Spesso per contingenze esterne – vedi leggi inopportune o vuoti normativi – altre volte per un eccesso di voracità da parte degli stakeholder, altre ancora per situazioni difficilmente prevedibili. È il caso di quanto accaduto negli ultimi mesi a causa di una diffusa e insistente disinformazione derivante dalla psicosi americana. Non vogliamo soffermarci sugli errori dei regolatori e dei legislatori, lo abbiamo fatto per anni. Forse è arrivato il momento di esercitarsi in qualcosa di più complicato e intellettualmente onesto: guardarsi allo specchio e fare un po’ di sana autocritica. Perché se è vero che il mercato ha risentito molto di quanto è accaduto indipendentemente dalla sua volontà, è innegabile che, quando le cose non vanno per il verso giusto, c’è sempre una componente di errore personale. Trascurarla significa non riuscire a comprendere le origini del problema e rifugiarsi nell’autocommiserazione.
E allora proviamo a farla questa sana autocritica. Cominciamo da noi. Da noi di Sigmagazine. Spesso abbiamo combattuto battaglie ideologiche, senza fare i conti con la realtà. E la realtà dice che ormai la sigaretta elettronica, almeno in Italia, è appannaggio del Monopolio di Stato, perché il mondo politico e sanitario la considera semplicemente uno strumento che somministra nicotina e che dà una dipendenza. Dal loro punto di vista non è altro che una sostanza da controllare e monitorare direttamente, se non da ostacolare, e dalla quale riscuotere imposte.
Le regole e i paletti che sono stati apposti hanno tracciato un sentiero obbligato sia per i consumatori che per i rivenditori. E qui, non ce ne vogliate, l’autocritica dovrebbe spettare ai protagonisti del mercato e della filiera a tutti, ma proprio tutti, i livelli. Negli anni in cui pendeva la sentenza della Corte costituzionale sulla maxi imposizione fiscale, si sono cercate e trovate mille soluzioni alternative per arginare e scavalcare il problema. Per non parlare della proliferazione di iniziative che per anni hanno spettacolarizzato uno strumento che invece dovrebbe limitare i danni del tabacco combusto. Si è cioè portata la sigaretta elettronica nello spazio del divertissement fine a se stesso, un grande circo che ha reso poco credibile qualunque serio messaggio sulla riduzione del rischio.
La difficoltà del settore oggi è riuscire a farsi conoscere e riconoscere all’esterno, uscendo dai soliti schemi e dai consueti gruppi di comunicazione ristretta. Occorre dunque trovare una strada maestra che consenta di andare avanti, rimanendo sempre nel perimetro consentito e disegnato dai giudici di gara. Anche se il percorso è accidentato e certamente scosceso, bisogna affrontarlo. Tutte le scorciatoie, prima o poi, portano immancabilmente alla squalifica.
La sigaretta elettronica – è sempre bene ricordarlo – è però un bene di consumo. Considerarla uno strumento medicale vorrebbe dire segnare la fine del libero mercato e del libero commercio. Se così non fosse, la gestione e la diffusione spetterebbero al Ministero della salute, all’Aifa e alla catena delle farmacie. I liquidi diventerebbero farmaci, magari da vendere dietro prescrizione; le aziende chiuderebbero, i negozi idem. È questo il futuro che vogliamo? Certamente no. Ma per evitarlo occorre una profonda riflessione da parte di tutti. Un passo indietro, oggi più che mai, è necessario. L’auspicio per il nuovo decennio è che la sigaretta elettronica possa finalmente diventare sinonimo di professionalità, sobrietà, funzionalità. Gli strumenti ci sono, occorre saperli usare. E bene. Altrimenti la fine è già segnata.
(editoriale tratto da Sigmagazine #18 gennaio-febbraio 2020)