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Sigarette elettroniche e balzelli di Stato: la tariffa di notifica

Il ritardo di oltre sei anni del Ministero della salute potrebbe portare a un ennesimo ricorso d’urgenza contro la richiesta retroattiva del pagamento richiesto entro il 30 luglio.

Con Decreto del 7 marzo 2022, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 125 del 30 maggio, il Ministero della salute, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze ha individuato, “ai sensi dell’art. 30, comma 2 del decreto legislativo 12 gennaio 2016, n. 6, le tariffe per le attività di cui agli articoli 4, 6, 8 e 21 del medesimo decreto, da porre a carico dei fabbricanti e importatori di prodotti del tabacco, di sigarette elettroniche e di contenitori liquidi di ricarica”.
Bene, meglio tardi che mai, si potrebbe sostenere nel perseguimento dell’interesse pubblico. Peccato che, anche questa volta – non vi è timore a dirlo – l’azione amministrativa sia caratterizzata dall’estremo ritardo nell’adozione dell’anzidetto provvedimento che, peraltro, presenta diversi profili di illegittimità che lo rendono quantomeno precario nell’ordinamento. Ma andiamo con ordine.
Come noto, l’art. 21 del D.Lgs. 6/2016 prevede, al comma 3, che, nel rispetto delle differenti categorie merceologiche, i fabbricanti e gli importatori di sigarette elettroniche e di prodotti liquidi di ricarica effettuino – con sei mesi di anticipo rispetto all’immissione sul mercato – una notifica al Ministero della salute e al Ministero dell’economia e delle finanze dei prodotti che intendono commercializzare. Tale notifica deve contenere, da un lato, i dati relativi al produttore o all’importatore del prodotto all’interno dell’Unione europea; dall’altro, numerosi dati tecnici sul prodotto, quali dati tossicologici, dati sulle dosi e l’assorbimento di nicotina, descrizione delle componenti del prodotto e del processo di produzione.
Il successivo comma 13 del medesimo art. 21 prevede poi che i fabbricanti e gli importatori di sigarette elettroniche e di prodotti liquidi da inalazione comunichino annualmente al Ministero della salute e al Ministero dell’economia e delle finanze un insieme di informazioni riguardanti i prodotti trattati, tra cui: i dati completi delle vendite, le informazioni sulle preferenze dei gruppi di consumatori, le modalità di vendita dei prodotti, le risultanze di eventuali indagini di mercato. Sulla base di tali informazioni, il Ministero della salute ha quindi l’arduo compito di controllare l’andamento del mercato delle sigarette elettroniche e dei contenitori di liquidi di ricarica, con particolare riferimento agli aspetti di propria competenza.
Ebbene, a fronte degli obblighi di notifica e di comunicazione di cui ai richiamati commi 3 e 13 dell’art. 21, sussistono degli oneri a carico dell’amministrazione ricevente che dovrà “gestire” le notifiche, memorizzare i dati, effettuare sui medesimi analisi e controlli, nonché renderli disponibili al pubblico, ove previsto. È proprio per sopportare il costo di tali oneri che vede finalmente la luce il Decreto del 7 marzo. Peccato, tuttavia, che l’art. 30 del D.Lgs. 6/2016 prevedesse un termine – pari a 60 giorni dalla sua entrata in vigore – per l’adozione di tale provvedimento; termine che, è di tutta evidenza, risulta “più che disatteso” dall’amministrazione.
In proposito, se è vero che spesso il rispetto dei termini dell’azione amministrativa non è essenziale per l’efficacia della medesima, nel caso in discussione, il ritardo nell’adozione del provvedimento tariffario non può che inficiarne la legittimità. Il decreto 7 marzo 2022 “pretende”, infatti di essere sostanzialmente retroattivo, prevedendo testualmente, all’art. 2, c. 3 e 4, che “3. Per le notifiche relative agli articoli 6 e 21 del decreto legislativo 12 gennaio 2016, n. 6, presentate dal 20 novembre 2016, le tariffe di cui allegato 1 devono essere versate entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto. 4. In caso di mancato versamento delle tariffe, di cui al comma 3, entro il termine previsto si procede alla riscossione coattiva delle somme dovute ai sensi del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46”.
Tutti gli operatori che hanno effettuato notifiche a decorrere dal 20 novembre 2016 sono quindi tenuti a versare “gli arretrati” relativi alle medesime; pena, il recupero coatto. È evidente, tuttavia, che tale previsione sia contraria ad ogni logica prima che al diritto. Come è pensabile, infatti, di porre a posteriori una tariffa a carico di un soggetto per fruire di un determinato servizio, peraltro di natura pubblica? Sarebbe come pensare – facendo un’analogia con la realtà quotidiana – di fare una passeggiata in un parco comunale e di vedersi successivamente recapitare a casa un “bollettino di pagamento” per il relativo ingresso. In altre parole, se è vero che è ben possibile che la legge preveda una tariffa per fruire di un servizio che ha un’evidente utilità pubblica, è altrettanto vero che tale tariffa, per essere legittima, debba essere predeterminata. Non si può infatti pensare che il “cliente” dell’amministrazione non sia posto in condizione di conoscere, in anticipo, il costo di un servizio prima di fruirne.
E peraltro, di ciò dà conto lo stesso decreto legislativo 6/2016 che, all’art. 30 parla espressamente di “tariffe predeterminate”, così di fatto ponendo esso stesso i limiti che l’attività amministrativa non avrebbe potuto superare e che, invece, sono stati palesemente disattesi.
A ciò si aggiunga poi la considerazione ulteriore per cui le tariffe di cui discutiamo avrebbero, secondo gran parte degli studiosi (e secondo un’incerta giurisprudenza) una natura ibrida tra prezzo di un servizio e imposta, al pari di altre tariffe per servizi di pubblica utilità. Si pensi, a titolo esemplificativo alla Tari – Tassa rifiuti che, se è vero che remunera il servizio di raccolta dei rifiuti urbani, ha certamente natura di prestazione patrimoniale imposta; o, ancora, agli oneri di sistema che tutti noi corrispondiamo con il pagamento delle bollette elettriche e che, anch’essi, sono corrisposti per il perseguimento di un interesse generale di pubblica utilità ma sempre nell’ambito di una prestazione patrimoniale imposta dallo Stato.
Ebbene, senza entrare nel merito della determinazione dei singoli importi (che meriterebbe un diverso ed ulteriore approfondimento) ove la natura (anche) di tributo di tali tariffe fosse effettivamente da ritenersi esistente, si porrebbe l’ulteriore problema della violazione del principio di irretroattività della legge tributaria che, pur non elevato a principio di rango costituzionale, è comunque pacifico in giurisprudenza, anche alla luce delle chiare previsioni di cui all’art. 3 della L. 212/2000 (Statuto del contribuente).
Fermo ciò – che già di per sé appare sufficiente a ritenere viziato il provvedimento in discussione, quantomeno nella parte in cui dispone per il passato – ad un più attento lettore non possono poi non balzare agli occhi anche altri elementi di criticità. E così, cosa accadrebbe se un produttore o importatore che ha notificato un determinato liquidi di ricarica, decidesse di rinunciare alla notifica? Potrebbe evitare il pagamento della tariffa o vi sarebbe comunque tenuto? E, ove potesse effettivamente rinunciare alla notifica, alla produzione (per il futuro) del relativo bene e al pagamento della tariffa, cosa accadrebbe ai prodotti che ha già immesso sul mercato e che sono oggi giacenti nei depositi fiscali dei distributori o nei negozi, in attesa di essere venduti all’ingrosso o al consumatore? Diverrebbero “improvvisamente” non più commerciabili, con evidente paralisi di un’intera filiera (e con ogni connesso problema di ritiro dei prodotti dal commercio)? E ancora, in punto di applicazione della tariffa, cosa vuol dire “aggiornamento” o “correzione” di notifica? Si intende tale solo una modifica sostanziale negli elementi della notifica (es. composizione del prodotto) o anche una modifica minore, quale, ad esempio, la modifica di un nome? E, nella prima di tale ipotesi, come si può distinguere tra ciò che deve comportare una nuova notifica e ciò che, invece, può essere considerato una mera “modifica”? Ma, una su tutte: cosa si è realmente tenuti a notificare? Solo i liquidi di ricarica o anche gli hardware? E quanto alle parti di ricambio?
Come sempre, l’amministrazione non si è affatto posta tali quesiti, né ha avuto la lungimiranza di svolgere, prima dell’adozione del provvedimento, un confronto con gli operatori del settore (che avrebbe certamente scongiurato gran parte delle problematiche testé richiamate); operatori che si trovano, oggi, nell’ennesima situazione paradossale e non giustificabile: o pagano oneri, spesso anche non più utili in ragione della vetustà di determinati prodotti (notificati magari nell’anno 2016 e non più in produzione, ma ancora sul mercato) o omettono il pagamento con ogni connesso rischio fiscale e commerciale. Quale sarà la soluzione? Al netto dei chiarimenti che il Ministero della salute ha preannunciato, forse solo l’ennesima decisione di un tribunale amministrativo potrà fare chiarezza.

L’autore: Alberto Gava è avvocato esperto in vaping e prodotti liquidi da inalazione

(Tratto da Sigmagazine #33 luglio-agosto 2022   )


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