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Dopo Philip Morris, Smooke France e Imperial Tobacco, anche British American Tobacco ha qualcosa da ridire nei confronti dei recenti provvedimenti direttoriali dell’Agenzia delle Dogane e Monopoli. In particolare, solleva questioni di legittimità sull’obbligo di apporre sul flacone il numero verde dell’Istituto superiore di sanità, cosa non contemplata dalla direttiva europei sui tabacchi. “Si richiede – scrivono i rappresentanti di Bat – l’integrazione dell’attuale avvertenza per i prodotti da inalazione con nicotina con un ulteriore avvertenza (“Per info chiama il numero…….”) non prevista per tali prodotti dalla Direttiva UE di riferimento (2014/40/UE) e dal relativo decreto legislativi attuativo n.6/2016, che hanno fissato in modo tassativo la tipologia e la dimensione dell’avvertenza da apporre su tali prodotti. Secondo quanto esposto l’avvertenza originaria non sarebbe suscettibile di modifiche o integrazioni da parte degli Stati membri”. Oltretutto, neppure la frase da apporre sui liquidi senza nicotina (“Il prodotto può contenere sostanze pericolose per la salute”, ndr) parrebbe rispettare la norma europea. “La determinazione – continua la nota – non indica le modalità di apposizione dell’avvertenza sui confezionamenti (stampata, apposta in modo indelebile con adesivo o altro) e neppure le dimensioni dell’avvertenza stessa, lasciando pertanto alla libera interpretazione delle varie aziende sul mercato come implementare la misura con conseguenti probabili difformità sul mercato di confezionamento su prodotti analoghi”.
Bat punta il dito anche sulla necessità di livellare i prezzi dei negozi fisici con quelli degli shop online. Il prezzo delle sigarette elettroniche e dei prodotti liquidi da inalazione è libero, di conseguenza appare quantomeno bizzarro che Adm imponga una sorta di cartello commerciale sui prezzi. Infatti, secondo British American Tobacco, “sussistono dubbi di legittimità laddove si richiede il “rispetto di criteri di congruità ed equivalenza quanto a prezzi e quantità nell’offerta di PLI effettuata tramite il canale fisico e quello on-line”, ponendosi in aperto contrasto con la normativa antitrust ed essendo il prezzo sul mercato del tutto libero e variabile a seconda dei canali di vendita utilizzati, senza inoltre che la relativa imposta di consumo si modifichi al variare del prezzo”. In sostanza, il prezzo minimo, a rigor di logica, dovrebbe essere l’ammontare dell’imposta di consumo oltre l’Iva. Ma non esiste alcun obbligo al livellamento dei prezzi. Sempre di prezzo parla Adm quando impone alle aziende di produzione di comunicarlo all’atto delle trascrizioni delle rimanenze nel registro contabile. E anche in questo caso Bat solleva un dubbio di legittimità: “L’imposta di consumo è indipendente dal prezzo al pubblico e tale prezzo non è fisso ex lege come per i tabacchi. Il prezzo infatti non viene richiesto all’atto della presentazione dell’istanza di registrazione dei nuovi PLI di cui all’art.4 e può essere modificato in ogni momento senza alcuna procedura autorizzativa da parte di ADM”.
A giudicare dalle reazioni della filiera della sigaretta elettronica, sembra proprio che Adm sia riuscita nell’impresa di unire in un fronte compatto e unitario l’intero comparto, dalle grandi multinazionali al più piccolo dei negozi. I tre direttoriali, scritti probabilmente in maniera frettolosa visto anche il poco tempo concesso dalla Legge di Bilancio e, soprattutto, senza che il Direttore Minenna abbia ritenuto opportuno dare seguito alle legittime richieste dei protagonisti della filiera, appaiono una trasposizione incongruente delle normative sul tabacco. Con la differenza che il commercio dei liquidi e della sigaretta elettronica non è soggetto al monopolio ma, seppur con limitazioni, è in regime di libero mercato. E la differenza – sostanziale- adesso sta palesandosi tutta.