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I rischi del vaping passivo: tutte le critiche ad un nuovo studio americano

Polosa, Shahab e Hajek fanno notare che i partecipanti fumavano o usavano la sigaretta elettronica o vivevano con fumatori.

Il professore Riccardo Polosa, ordinario di Medicina interna all’Università di Catania e fondatore del Coehar, lo definisce uno studio “mediocre”, meravigliandosi che abbia trovato spazio sulla rivista Thorax del British Medical Journal. Si riferisce allo studio intitolato “Secondhand nicotine vaping at home and respiratory symptoms in young adults”, condotto da ricercatori della University of Southern California, coordinati da Talat Islam. Secondo gli autori, “l’esposizione al vapore passivo è associato ad un aumento di sintomi bronchitici e mancanza di respiro fra i giovani adulti”, quindi fra le persone fra i 18 e i 22 anni. E, sebbene si parli di associazione e non di causalità, lo studio ha fatto il giro dei media americani con i toni allarmistici che ci si può immaginare, fino ad arrivare anche sulla stampa nostrana. Eppure, continua Polosa, “per stabilire un nesso di causalità tra vaping passivo in casa e sintomi respiratori è necessaria una buona e oggettiva misura dell’esposizione al vaping passivo. E qui non c’è”.
Ma non è solo il professore catanese a criticare il lavoro dell’università californiana. In un lungo intervento, anche il professor Lion Shahab, docente di psicologia sanitaria e condirettore del Tobacco and Alcohol Research Group dello University College di Londra, fa le pulci allo studio. “In primo luogo – spiega – trattandosi di uno studio puramente osservazionale, questi risultati non possono stabilire un’associazione causale. Potrebbero esserci altri importanti fattori di confusione che potrebbero aver contribuito a questi risultati”. Come per esempio l’esposizione al di fuori del nucleo familiare, visto che lo studio limitava la misurazione all’ambiente domestico, o il tipo di alloggio dei partecipanti.
Inoltre, continua Shahab, gli autori stessi ammettono che la stragrande maggioranza dei partecipanti allo studio che riportava esposizione al vapore passivo (fino al 93,1%), ha riferito anche l’uso personale negli ultimi 30 giorni di tabacco o prodotti a base di cannabis o l’esposizione a prodotti combustibili. “Questo elevato livello di collinearità (ovvero co-occorrenza della principale variabile di interesse, l’esposizione al vaping passivo, con fattori confondenti rilevanti) – conclude – può rendere difficile districare in modo affidabile il contributo individuale dell’esposizione allo svapo passivo da quello di altre potenziali cause di sintomi respiratori in analisi statistiche”. Insomma, secondo l’accademico britannico, nel migliore dei casi bisognerà replicare questo studio, utilizzando misure oggettive di esposizione, controllando i potenziali fattori confondenti e includendo partecipanti che non hanno avuto esposizione a prodotti diversi dalle sigarette elettroniche.
Molto scettico anche il professor Peter Hajek, direttore del Tobacco Dependence Research Unit della Queen Mary University di Londra. “L’articolo riporta un’associazione – commenta – in base alle risposte ad un questionario di intervistati che hanno sperimentato tosse, catarro o mancanza di respiro e che vivono in famiglie in cui le persone svapano. Uno dei problemi nel considerare l’associazione come causale è che quasi tutti i partecipanti fumavano o usavano l’e-cigarette essi stessi e/o vivevano con persone che fumano anche loro (208 su 223)”. Hajek giudica  sorprendente che lo studio non presenti dati sull’associazione fra i sintomi riportati e il fumo, mentre non trova alcuna spiegazione credibile per considerare il vaping la causa degli stessi.
Secondo il docente, se i rischi per la salute degli utilizzatori di e-cigarette arrivano al massimo al 5% di quelli del fumo, è probabile che i rischi per chi è esposto al vapore passivo siamo molto inferiori o del tutto inesistenti. “Questo perché – conclude – le sigarette elettroniche non rilasciano sostanze chimiche nell’ambiente, se non ciò che gli utilizzatori espirano. E finora non è stato dimostrato che tale espirazione generi sostanze tossiche a livelli che potrebbero plausibilmente influenzare la salute di terzi”.

 

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