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È stata depositata ieri presso la Corte distrettuale degli Stati Uniti della Florida una class action contro l’azienda produttrice di sigarette elettroniche Juul Labs. Insieme al produttore californiano, leader nel mercato del vaping americano, sono chiamati sul banco degli imputati Altria Group, che ha recentemente acquistato una quota di minoranza di Juul, e Philip Morris Usa, il gigante del tabacco controllato da Altria. A querelare le aziende sono i coniugi Erin e Jared Nessmith, che si muovono individualmente e in qualità di tutori della loro figlia minorenne, nonché – si legge nel documento – per conto di se stessi e di coloro che si trovano in una situazione simile.
L’accusa mossa a Juul e alle altre aziende è quella già sperimentata con successo contro le big del tabacco: i produttori avrebbero illegalmente minimizzato i pericoli del loro prodotto allo scopo di renderlo più attraente e diffonderne l’uso fra i minori. In particolare, si legge nella denuncia, i querelanti affermano che gli imputati “hanno ingannevolmente venduto o hanno collaborato a vendere sistemi di somministrazione di nicotina come prodotti che non causano dipendenza o ne causano meno delle sigarette, sapendo che non era vero”.
I Nessmith dichiarano, infatti, di avere una figlia quindicenne che è diventata dipendente dalla nicotina, usando la pod-mod prodotta da Juul. Non solo. I coniugi dichiarano che la giovane, che svapa da un anno, soffre di convulsioni, “un noto effetto – si legge nella denuncia – dell’ingestione di nicotina”. E sempre nella denuncia si ricorda che nei giorni scorsi la Food and Drug Administration ha annunciato un’indagine sul possibile collegamento fra convulsioni e vaping, sebbene la stessa agenzia ammettesse di non poter stabilire un nesso di causalità fra le due cose. Ma tant’è. L’avvocato Jonathan Gdanski, che rappresenta i querelanti, punta sui grandi numeri e spera che a questa azione legale si uniscano i genitori di altri minori, mischiando sapientemente nelle sue dichiarazioni tabacco e vaping, come se fossero in fondo la stessa cosa.
Potrebbe essere una brutta gatta da pelare per Juul che, nel frattempo, cerca di dimostrare di essere seriamente intenzionata ad arginare la diffusione della sua pod fra gli under 18 (o 21, a seconda degli Stati). Proprio ieri, infatti, era stato annunciato il lancio del programma pilota Track & Trace, che dovrebbe consentire di capire come un giovane sia venuto in possesso di un vaporizzatore. In pratica ogni device ha un numero seriale che consente all’azienda di risalire fino al venditore del prodotto. All’adulto che ha trovato il minore in possesso del vaporizzatore, sarà sufficiente inserire questo numero nell’apposito portale di Juul. Sarà poi l’azienda ad aprire un’indagine per capire se il negoziante ha venduto a un minore o se è successo qualcosa di diverso (per esempio che un maggiorenne abbia acquistato le pod-mod per conto terzi).
Insomma, uno spiegamento di forze e di tecnologia (forse degno di miglior causa) che dovrebbe convincere le autorità e l’opinione pubblica americane delle buone intenzioni e del serio impegno di Juul Labs per evitare la diffusione del vaping fra i minori. Chissà se basterà a placare quella che ormai ha raggiunto i toni di una crociata contro uno strumento nato per consentire ai fumatori di ridurre il danno del tabacco.