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Sigarette elettroniche, Bangladesh diviso fra modello asiatico e britannico

Il ministro della salute valuta un divieto totale ma nel campo della medicina c'è chi chiede di seguire l'esempio inglese.

Il mese scorso il ministro della salute del Bangladesh, Shaik Yusuf Harun, ha annunciato che il governo bengalese stava valutando di vietare la produzione, l’importazione e la vendita di tutti in “tre categorie di prodotti: sigarette elettroniche o vaping, tabacco riscaldato o prodotti con nicotina e terapie sostitutive a base di nicotina”. La misura, che allineerebbe il Paese agli altri dell’area come Sri Lanka, Nepal, Thailandia, Singapore e India, troverebbe la sua giustificazione – sempre nelle parole del ministro – nella loro “pericolosità per la salute pubblica”.
Vietare tutti gli strumenti di riduzione del danno da fumo, però, potrebbe non essere una buona idea per un Paese in cui il 35% degli adulti e il 7% dei minori fra i 13 e i 15 anni utilizza tabacco. A questi numeri si aggiunge un 43% di adulti esposti al fumo passivo sul luogo di lavoro e un 39% a casa. Una situazione definita “allarmante” dall’Organizzazione mondiale della sanità. E a sostenere la causa della sigaretta elettronica e della riduzione del danno, sulle colonne del quotidiano in lingua inglese The Independent, è il dottor Rajib Hossain Joarder del Dhaka Medical College Hospital.
Il primo ministro bengalese, Sheikh Hasina, ha recentemente dichiarato di avere l’ambizioso obiettivo di debellare il fumo entro il 2040. Un traguardo che, secondo Rajib Hossain, difficilmente potrà essere raggiunto con i mezzi convenzionali del controllo del tabacco. “Per questo – scrive – è non solo reazionario, ma anche pericoloso cadere vittima dell’ultimo panico sanitario sul vaping. E sarebbe tremendamente ottuso non guardare alle evidenze che provano l’efficacia della sigaretta elettronica come metodo per smettere di fumare”.
Nel suo lungo intervento, il medico illustra la vicenda delle malattie polmonari registrate negli ultimi mesi negli Stati Uniti, spiegando come siano ormai le stesse autorità americane ad aver ricondotto tutto all’uso di prodotti adulterati al Thc. “Man mano che diventa chiaro che il panico sulle sigarette elettroniche è il risultato della disinformazione – commenta – il Bangladesh deve agire coscienziosamente sulla questione, invece di saltare alle conclusioni”. E questo, secondo l’autore, significa seguire l’esempio del Regno Unito, “che ha ufficialmente adottato il vaping come strumento per smettere di fumare”.
Rajib Hossain si dilunga sull’esperienza britannica, citando risultati e studi e chiedendo per il suo Paese un “chiaro percorso strategico” che ricalchi il modello del Regno Unito, cosa che il Bangladesh fa tradizionalmente in campo sanitario. “Se, come nel Regno Unito – conclude – due fumatori su tre possono smettere usando la sigaretta elettronica, che secondo Public Health England è del 95% meno dannosa, non ha senso vietare i prodotti del vaping sulla base della disinformazione o di un semplice impeto emotivo”.

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