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“Colpevolizzare la sigaretta elettronica per qualunque cosa è sport nazionale”

Un articolo pubblicato su Lancet scatena la reazione della comunità scientifica favorevole alla strategia della riduzione del danno da fumo.

Riccardo Polosa, docente di Medicina interna all’Università di Catania e fondatore del Centro di eccellenza per la riduzione del danno da fumo (Cohear) ritiene “non fondato su evidenze scientifiche” il commento pubblicato pochi giorni fa sulla rivista Lancet. L’articolo, destinato a fare discutere, ritorna sui casi di Evali – le malattie polmonari – verificatesi lo scorso anno negli Stati Uniti e ricondotti alla presenza dell’acetato di vitamina E nelle cartucce precaricate contenenti cannabis di provenienza illegale. Il giornale, però, lascia intendere che le cause della malattia potrebbe essere “multifattoriale”, cioè non da ricondurre esclusivamente all’acetato di vitamina E, lamentando che i Centres for disease control americani abbiano smesso di pubblicare aggiornamenti sulla questione.
Accostando le manifestazioni cliniche di Evali a quelle del covid-19 e citando un recente lavoro di Sarah Reagan-Steiner, l’articolo lascia intendere che l’uso della sigaretta elettronica potrebbe rappresentare un fattore di rischio di infezione da Sars-cov-2, in particolare per i minori. Per questo plaude a tutte le misure restrittive prese finora negli Stati Uniti, ricordando anche che il presidente della Commissione parlamentare per la politica economica e dei consumatori, Raja Krishnamoorthi, ha chiesto al commissario dell’Fda addirittura di ritirare dal mercato le sigarette elettroniche per tutta la durata della pandemia.
L’ultima stoccata il giornale la riserva a Public Health England, l’agenzia operativa del Ministero della salute britannico attualmente in odore di riorganizzazione proprio per la gestione della pandemia. Già lo scorso ottobre proprio sulla sigaretta elettronica ci fu un duro botta e risposta fra John Newton, direttore del dipartimento Health Improvement di Phe, e il direttore di Lancet. La rivista ritorna sul tema, invitando l’agenzia ad “adottare il principio di precauzione per mitigare il danno potenziale ai polmoni e la suscettibilità all’infezione in tempi di covid-19”.
Dare la colpa ai prodotti del vaping per qualsiasi cosa è diventato il nuovo sport nazionale negli Stati Uniti”, commenta il professor Polosa. “È ben noto – continua – che la malattia Evali non ha niente a che fare con le sigarette elettroniche con nicotina in commercio e non vi sono diagnosi di un maggiore rischio di covid-19 per chi svapa. In realtà nemmeno il fumo, che è letale, è un fattore di rischio di ospedalizzazione per covid-19, come dimostrato da una ampia meta-analisi che prende in considerazione più di 6500 casi”.
Critico sull’associazione fra sigarette elettroniche, Evali e covid-19 anche Derek Yach. Il direttore di Foundation for a smoke free world ricorda come il vaping non è stata la causa delle malattie polmonari, dovute invece a cartucce contaminate con Thc vendute illegalmente, come confermato alla fine dai Cdc e dall’Fda. Il problema – secondo Yach – è che nel frattempo attivisti, associazioni media e politici avevano demonizzato la sigaretta elettronica e la riduzione del danno da fumo. “Il risultato – commenta Yach – sono state politiche sbagliate che hanno incrementato l’uso delle sigarette elettroniche e spinto la politica e i legislatori a credere che la nicotina e il vaping causino il cancro. Non è così”. Con la pandemia il copione sembra ripetersi. “Come durante Evali – conclude Yach – i politici saltano sul carro e usano la pandemia per chiedere di vietare il vaping. Purtroppo questo non farà altro che rinforzare il fumo, che apparirà il comportamento meno dannoso”.

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