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Storie di ordinaria disinformazione sulla sigaretta elettronica

Uno studio di Polosa, Sussmann e Golberstein su e-cigarette e covid-19 completamente travisato dalla stampa internazionale.

Può uno studio scientifico che rassicura sull’uso della sigaretta elettronica essere strumentalizzato per demonizzarla? Purtroppo sì. È quello che sta succedendo a un lavoro di cui vi abbiamo parlato lo scorso novembre, condotto da Roberto A. Sussman dell’Istituto di scienze nucleari della Universidad Nacional Autonoma de Mexico, la neozelandese Eliana Golberstein di Myriad Pharmaceuticals Limited e Riccardo Polosa del Centro di eccellenza per l’accelerazione della riduzione del danno (CoEhar) dell’Università di Catania. I tre si sono incaricati di rispondere a un quesito che si pone dall’inizio della pandemia di covid-19. E cioè: un vaper infetto può diffondere il virus? Detto in termini meno banali, lo studio esamina “la plausibilità, la portata e i rischi della trasmissione aerea di agenti patogeni (incluso il sars-cov-2) attraverso le goccioline respiratorie trasportate dall’esalazione di areosol di sigaretta elettronica”.
I risultati sono stati del tutto rassicuranti. Posto un caso di controllo definito dalla respirazione a riposo senza svapare, il rischio per terze persone esposte alle espirazioni di un vaper infetto in un ambiente chiuso aumenta solo dell’1% in caso di svapo a bassa intensità (quello praticato dall’80% degli utilizzatori). Nel caso di svapo ad alta intensità l’aumento è fra il 5 e il 17%. Sono percentuali del tutto trascurabili e lo studio lo chiarisce bene mettendo dei termini di paragone: sempre in un ambiente chiuso, parlare fa aumentare il rischio di contagio dal 44 al 90% (a seconda del tempo), tossire addirittura del 260%. In più, spiegavano gli autori dello studio, il vapore della sigaretta elettronica è ben visibile e può essere facilmente evitato, al contrario di quanto accade quando si parla o si tossisce. Per questo lo studio concludeva che non sono necessari particolari accorgimenti per svapare al chiuso e che sono sufficienti quelli normalmente consigliati.
Eppure parte della stampa non si è fatta sfuggire l’occasione per sparare a zero sulla sigaretta elettronica. E purtroppo non parliamo solo dei tabloid scandalistici ma anche di testate blasonate come il britannico Telegraph. “I vaper con il covid-19 hanno il 20% di possibilità in più di trasmettere la malattia”, ha titolato allarmisticamente il quotidiano, giocando sporco sulle percentuali, sulla paura generata dalla pandemia e distorcendo completamente il senso dello studio. Il Daily Mail ha addirittura aggiunto che questo studio giustifica l’adozione di un divieto di usare la sigaretta elettronica nei ristoranti e nelle stazioni. Niente di più lontano da quello che intendevano gli autori.
Da giorni Sussmann, Golberstein e Polosa stanno facendo il possibile per far emergere la verità con comunicati e post sui social media. Denunciano il malizioso travisamento del loro lavoro scientifico, sostenendo che questo atteggiamento distrugge gli sforzi degli scienziati ed equivale a diffondere teorie complottistiche. Riccardo Polosa si scaglia contro il giornalismo sensazionalistico che danneggia la salute pubblica. “L’articolo del Telegraph mira solo a diffondere disinformazione e non si basa sulla scienza – ha dichiarato – Ancora una volta assistiamo ai pregiudizi che i media nutrono nei confronti del mondo del vaping”. E ancora una volta è davvero impossibile dargli torto.

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