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Usa: per la prima volta dopo 20 anni aumentano le vendite di sigarette

Secondo molti osservatori la preoccupante tendenza è frutto delle campagne di disinformazione sulla sigaretta elettronica.

Nel 2020 le vendite di sigarette tradizionali negli Stati Uniti sono aumentate per la prima volta dopo vent’anni. A dare la notizia è stata la Federal Trade Commission in un rapporto pubblicato martedì scorso. “Il numero di sigarette vendute negli Usa dalle principali aziende del tabacco ai grossisti e ai rivenditori in tutto il Paese – scrive la Ftc – sono passate dai 202,9 miliardi del 2019 ai 203,7 miliardi del 2020”. Si tratta di un incremento contenuto ma è tuttavia un trend preoccupante, che non deve essere assolutamente preso sottogamba.
Questa inversione di tendenza è per alcuni da ricondurre alla pandemia di Covid-19, che ha costretto le persone a rinunciare a molti aspetti della vita sociale, favorendo il consumo di tabacco. Ma non sono in pochi a ritenere che possa aver giocato un ruolo anche la campagna di demonizzazione della sigaretta elettronica, che ha toccato l’apice proprio fra gli ultimi mesi del 2019 e l’inizio del 2020. A suggerirlo, riportando le posizioni di consumatori e produttori, è per esempio il blasonato Wall Street Journal, che di certo non può essere considerato dalla parte degli svapatori. “È possibile che chi prima usava l’e-cigarette – si legge sul quotidiano – sia tornato alle sigarette trazionali, a causa di preoccupazioni per la salute sollevate da una misteriosa malattia polmonare diffusasi nel 2019 (la cosiddetta Evali, ndr), che alla fine venne attribuita all’acetato di vitamina E presente in prodotti per la vaporizzazione a base di marijuana. Anche i divieti sugli aromi nei liquidi e l’aumento delle tasse sui prodotti del vaping possono aver contribuito all’aumento del fumo”.
Più netto Tim Andrews nel suo commento ospitato sul sito della fondazione di area repubblicana, Americans for Tax Reform. “L’aumento delle vendite di sigarette – scrive – segue uno sforzo concertato da parte di be finanziati attivisti anti-vaping per distorcere la scienza e i dati relativi allo svapo al fine approvare leggi che limitano l’accesso dei consumatori. Questo ha causato una diminuzione significativo dei fumatori che smettono e ha spinto chi era già passato alla sigaretta elettronica a tornare al tabacco combustibile”. Nel suo articolo Andrews ripercorre la crociata contro il vaping condotta negli Usa “malgrado la scienza”, puntando il dito sul miliardario Michael Bloomberg, che ne è il principale finanziatore. “Per tutto il 2020 – scrive – gli attivisti hanno fatto pressioni sui legislatori per limitare l’accesso a questo vitale aiuto per smettere di fumare, inducendo Stati e governi locali a vietare la maggior parte dei prodotti del vaping”. Questo nonostante studi importanti, come quello di Abigail Friedman dell’Università di Yale sul caso di San Francisco, abbiano dimostrato che vietare l’e-cig ha fatto aumentare il numero di fumatori fra i minori.
In realtà le due spiegazioni non sono in contraddizione fra loro. Perché è probabilmente vero che le restrizioni dovute alla pandemia hanno spinto le persone a fumare di più. Ma è altrettanto vero che, senza la massiccia disinformazione e demonizzazione della sigaretta elettronica, forse molti di questi fumatori avrebbero scelto lo strumento che riduce drasticamente il danno del fumo. Purtroppo, conclude Andrews, se la politica americana non cambierà rotta sarà difficile invertire il trend dei fumatori. “L’aumento dei tassi di fumo – aggiunge – ha dimostrato le devastanti conseguenze sulla salute pubblica della campagna contro il vaping. È tempo che i legislatori accettino la scienza e seguano altri governi come il Regno Unito, il Canada e la Nuova Zelanda, che incoraggiano attivamente i fumatori a passare all’e-cigarette. Milioni di vite dipendono da questo”.

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