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Nuova Zelanda, crollo delle entrate fiscali grazie alle sigarette elettroniche

In 7 mesi diminuiti del 47,8% gli introiti derivanti dalle tasse sul tabacco. Perché quando si parla di e-cig, purtroppo, non si tratta solo di salute.

Quando si parla di fumo, strumenti di riduzione del danno come le sigarette elettroniche e cessazione, non si parla purtroppo solo di salute. E a ricordarlo arriva il rapporto del Ministero del tesoro neozelandese che ha comunicato i dati sulle entrate fiscali dal 1° luglio 2020 al 31 gennaio 2021. I conti segnalano una diminuzione degli introiti provenienti da dogane e accise di quasi 700 milioni di dollari neozelandesi (circa 420 milioni di euro) rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Il crollo è dovuto soprattutto al drastico calo delle entrate provenienti dal tabacco, diminuite del 47,8% a causa della ridotta richiesta di prodotti del tabacco.
Era una perdita prevista ma non in queste proporzioni: il calo delle entrate derivanti dal tabacco è stato infatti superiore del 28,9% rispetto a quanto preventivato. Secondo l’agenzia governativa Statistics New Zealand, questa accelerata diminuzione di richiesta dei prodotti tradizionali del tabacco (e dunque di fumatori) coincide con la crescente diffusione della sigaretta elettronica nel Paese e con l’aumento dei prezzi dei prodotti del tabacco. Grazie a una politica aperta alla riduzione del danno, gli adulti che nel 2019 avevano provato l’e-cigarette erano il 21,2% (dal 16,2 del 2016) ed è presumibile che abbiano continuato ad aumentare anche nel 2020. Una strategia combinata che funziona dal punto di vista sanitario, ma che rischia di causare qualche preoccupazione alle casse dell’erario.
Per questo qualcuno già teme dei contraccolpi per limitare la diffusione del vaping fra i fumatori. Per i nostri standard la Nuova Zelanda è uno dei Paesi più vaper-friendly del globo, ma i consumatori locali non vedono con favore la nuova regolamentazione per i prodotti del vaping attualmente in discussione. Di fatto il governo propone il divieto di vendita ai minori di 18 anni, il divieto di pubblicità e di uso dell’e-cig nei luoghi dove vige il divieto di fumo e altre limitazioni. Il portavoce della New Zealand Taxpayers’Union, Louis Houlbrooke, dalle colonne del quotidiano Stuff, accusa infatti il Ministero della salute di voler “tenere i cittadini inchiodati alle sigarette”. Un’accusa forse un po’ ingenerosa, almeno vista da queste latitudini. Ma rimane che un calo troppo drastico dei fumatori, con le sue ripercussioni sulle casse statali, può rappresentare un problema per molti Paesi.
Negli Stati Uniti, per esempio, alcuni critici hanno collegato l’attivismo anti vaping di molti governatori alle preoccupazioni per le riduzioni drastiche delle entrate derivanti dal Tobacco Master Settlement Agreement (l’accordo raggiunto fra le Big del tabacco e i procuratori generali di 46 Stati, con il quale le aziende si sono impegnate a versare denaro come riparazione per i danni causati alla salute). Senza contare i tanti Paesi, Italia in primis, che non hanno perso tempo a tassare le sigarette elettroniche per compensare le perdite del prelievo fiscale sul tabacco, fino ad arrivare alla Commissione europea, che intende inserire i prodotti del vaping nella nuova Direttiva sulle accise del tabacco. Come dire: smettete di fumare, ma non troppo velocemente. No, decisamente non si parla solo di salute.

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