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A dimostrare i danni di una informazione scorretta, soprattutto se proveniente dalle istituzioni sanitarie, arriva uno studio americano appena pubblicato su Tobacco Control. Tutti ricorderanno il caso di Evali, i casi di lesioni polmonari verificatisi negli Stati Uniti fra l’estate e la fine del 2019. Il nome scelto per la patologia è già in sé fuorviante, perché significa “e-cigarette or vaping use-associated lung injury”, mettendo in lampante correlazione la malattia e l’uso delle sigarette elettroniche. In realtà fu chiaro abbastanza presto che le lesioni ai polmoni non potessero essere legate all’uso delle normali e-cigarette con nicotina, ma piuttosto all’acetato di vitamina E, usato come diluente nei liquidi al Thc venduti per canali illegali.
Nonostante questo, non solo i media portarono avanti per mesi un battage contro le sigarette elettroniche, ma gli stessi Centers for Disease Control americani aspettarono ben cinque mesi, fino al 21 gennaio del 2020, per ritirare la raccomandazione ai cittadini di astenersi dall’uso di sigarette elettroniche di qualsiasi tipo, anche quelle contenenti nicotina. Un gruppo di ricercatori della Rutgers University e del Roswell Park Cancer Institute, coordinati da Olivia A. Wackowski ha deciso di “esaminare la consapevolezza, la conoscenza e l’impatto percepito sui fumatori di Evali sul loro interesse per la sigaretta elettronica circa 16 mesi dopo il suo picco”, come si legge nello studio intitolato “Over 1 year later: smokers’ EVALI awareness, knowledge and perceived impact on e-cigarette interest”.
Fra gennaio e febbraio 2021, quindi, i ricercatori hanno esaminato oltre mille fumatori adulti, chiedendo loro se avessero sentito parlare di Evali, se ne conoscessero le cause e se la malattia avesse avuto un impatto nel loro interesse a usare l’ecigarette in futuro. I risultati sono poco confortanti. Il 54% dei fumatori aveva sentito parlare di Evali. Fra questi, il 37,3% riteneva che la sua principale causa fosse la sigaretta elettronica usata per svapare nicotina. Solo il 16,6% credeva che la malattia fosse causata principalmente da prodotti per la vaporizzazione di marijuana e Thc, mentre il 20,2% non sapeva. Ad aver sentito che l’acetato di vitamina E era associato ad Evali era il 29% e più della metà, il 50,9%, affermava che la malattia li rendeva meno interessati a usare l’e-cig in futuro.
“La consapevolezza dell’esistenza di Evali – spiega lo studio – è stata significativamente associata alla percezione del rischio delle sigarette elettroniche (cioè a ritenere che le e-cigarette sono dannose quanto il fumo)”. Un problema molto serio, perché il vaping potrebbe invece essere una soluzione per ridurre notevolmente il danno causato dal fumo per tanti fumatori adulti. “Nonostante il passare del tempo – concludono infatti gli autori – tra coloro che fumano permangono una notevole mancanza di conoscenza e percezioni errate su Evali. I nostri risultati suggeriscono la necessità di sforzi continui per promuovere una migliore comprensione di Evali e risposte comportamentali e politiche appropriate”. E, naturalmente, la prima cosa su cui puntare sarebbe una corretta informazione, anche e soprattutto da parte delle istituzioni.