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Tasse e divieti sulle sigarette elettroniche: più fumatori e illegalità

Uno studio dell'americana Boston University evidenzia l'effetto boomerang delle misure che limitano il vaping.

Aumentare le tasse sulle sigarette elettroniche funziona come deterrente all’uso dei minori? E i divieti sugli aromi o i messaggi allarmistici hanno una funzione positiva o possono avere l’effetto, indesiderabile per la salute, di riportare i consumatori al fumo? Sono domande importanti e di estrema attualità a cui ha cercato di rispondere uno studio appena pubblicato su Harm Reduction Journal, intitolato “Effect of Massachusetts House Bill No. 4196 on electronic cigarette use: a mixed-methods study”. Gli autori – Amanda Katchmar, Adrian Gunawan e Michael Siegel, tutti della Boston University – hanno esaminato come caso di studio gli effetti nello Stato americano del Massachussetts della legge n. 4196.
Approvata nel 2019 e in vigore dal 2020, la legge impone una tassa del 75% su tutti i prodotti del vaping e vieta la vendita di tutti i prodotti aromatizzati (anche di tabacco), con l’eccezione dei cosiddetti “smoking bar”, che sono dei luoghi per il consumo sul posto e ne esistono 27 in tutto lo Stato. La misura venne presa per iniziativa del governatore Charlie Baker, che dichiarò l’emergenza sanitaria nello Stato durante i cluster della cosiddetta Evali, la malattia polmonare che scoppiò negli Usa nell’estate del 2019. Sebbene i casi di Evali furono poi ricondotti all’acetato di vitamina E contenuto in cartucce precaricate con liquidi al Thc vendute per vie illegali, le istituzioni sanitarie diedero inizialmente la responsabilità alle normali e-cigarette con nicotina e nel Paese montò un clima ostile al vaping. La legge del Massachusetts è figlia di questo clima.
Ma veniamo ai risultati dello studio, che si è basato su dati relativi agli acquisti nell’ area Greater Boston e negli Usa forniti da Nielsen. La prima cosa da notare è che dopo l’introduzione della tassa non vi è stata una diminuzione del consumo nell’area Greater Boston. La misura, invece di agire da deterrente, ha invece spinto gli utilizzatori a fare i loro acquisti online o negli Stati vicini che avevano aliquote fiscali più basse (o nessuna) sulle sigarette elettroniche. Le vendite di prodotti del vaping sono invece diminuite in maniera significativa in seguito ai vari divieti locali sull’uso delle sigarette elettroniche e ai vari comunicati allarmistici durante il periodo di Evali. A questa diminuzione degli acquisti di prodotti del vaping, però, corrisponde un aumento degli acquisti di sigarette tradizionali.
Un dato poco rassicurante. “Poiché si ritiene che le sigarette elettroniche siano un’alternativa meno dannosa alle sigarette combustibili – spiegano infatti gli autori – questa inversione è preoccupante”. E non è certo il primo lavoro a mettere in allarme contro l’effetto boomerang di misure, giustificate dalla protezione dei minori. Un lavoro dell’inizio del 2020 condotto dal National Bureau of Economic Research sul caso studio del Minnesota rilevava come l’aumento del prelievo fiscale sulle e-cigarette fosse un ostacolo alla cessazione dei fumatori adulti. Nello stesso anno, un rapporto della Baker University concludeva che vietare i prodotti del vaping, avrebbe come unico risultato quello di ampliare il mercato nero, già esistente per questi prodotti, proprio come è successo con le droghe.
Per questo Katchmar, Gunawan e Siegel mettono in guardia legislatori e responsabili sanitari sulle conseguenze delle loro azioni. “Nel complesso – concludono infatti – i risultati di questo studio dimostrano una chiara necessità per i responsabili politici e i funzionari sanitari di bilanciare efficacemente i rischi dell’uso di sigarette elettroniche e dell’uso di sigarette combustibili nelle loro politiche e nei loro messaggi”.

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