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“Le politiche di controllo del tabacco non funzionano nella maggior parte del mondo”. Inizia così la lettera che Robert Beaglehole e Ruth Bonita hanno scritto al giornale scientifico The Lancet, poco prima dell’ultimo No Tobacco Day. Si tratta di un intervento di peso nella comunità scientifica, visto che i due, oltre ad essere docenti emeriti presso l’Università di Auckland, in Australia, hanno un passato anche nell’Organizzazione mondiale di sanità. Beaglehole è stato direttore del Dipartimento per le malattie croniche e la promozione della salute dell’organizzazione, mentre Bonita ha diretto il Dipartimento di sorveglianza sulle malattie non trasmissibili negli uffici di Ginevra. Ed è anche per questo che la loro critica alle politiche contro il fumo dell’Oms è particolarmente importante.
Quattro fumatori su cinque, scrivono i due scienziati, vivono in Paesi a basso e medio reddito, dove si contano anche la maggior parte degli otto milioni di decessi causati dal tabacco ogni anno. Qui i tassi di consumo del tabacco diminuiscono molto lentamente, mentre il numero globale dei fumatori è sostanzialmente invariato. Questo vuol dire che questi Paesi non riusciranno a raggiungere l’obbiettivo sul consumo di tabacco stabilito dall’Oms (riduzione del 30% entro il 2032), né quello sulle malattie non trasmissibili. Per arrivare a questi risultati, obiettano Beaglehole e Bonita, “è necessario porsi dei traguardi molto più ambiziosi”.
E la soluzione non è certo quella di conformarsi in maniera più severa alla Convenzione quadro dell’Oms sul controllo del tabacco (Fctc), come suggerito da Lancet, pubblicazione ferma su posizioni molto tradizionali. “L’Fctc non è più idoneo allo scopo, soprattutto per i Paesi a basso reddito”, commentano infatti i due. Né l’Organizzazione mondiale di sanità, né la Convenzione quadro, continuano, si basano sulle recenti evidenze scientifiche sul ruolo ricoperto dai dispositivi innovativi di somministrazione della nicotina nell’aiutare il passaggio dalle sigarette a prodotti molto meno dannosi. Quindi sigarette elettroniche e altri prodotti a rischio ridotto. “Allo stesso modo – si legge ancora nella lettera – l’attenzione per lo svapo giovanile, che è per la maggior parte sperimentale, distoglie dall’obiettivo sanitario di ridurre i decessi causati dalle sigarette negli adulti”.
È dunque la riduzione del danno la strategia mancante nelle politiche dell’Oms e dell’Fctc. Quella strategia che consentirebbe ai fumatori di ridurre i danni causati dalla combustione del tabacco, passando a metodi molto meno dannosi di somministrazione della nicotina. “Queste alternative hanno un grande potenziale per sconvolgere l’industria delle sigarette”, spiegano gli autori. Ma l’Oms e l’Fctc rifiutano la riduzione del danno e, scrivono Beaglehole e Bonita, è “un’opposizione che non si basa sui progressi tecnologici del 21° secolo ed è indebitamente influenzata da interessi particolari che promuovono l’astinenza dalla nicotina”. Soprattutto, la posizione di chiusura della maggiore istituzione sanitaria internazionale finisce per privilegiare i prodotti più dannosi: le sigarette a tabacco combusto.
Beaglehole e Bonita concludono con un appello alla rivista scientifica, alla quale già nel 2019 indirizzarono un articolo che criticava il rapporto dell’Oms sul tabacco. “Esortiamo the Lancet a sostenere attivamente la riduzione del danno come strategia cruciale per ridurre il carico sanitario causato dal tabacco – concludono infatti gli autori – Il giornale dovrebbe anche aggiungere la sua voce alle richieste di una revisione indipendente delle politiche di controllo del tabacco dell’Oms; sono in gioco milioni di vite”.