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Sigarette elettroniche, le Filippine scelgono la riduzione del danno da fumo

La strana parabola del Paese passato dal proibizionismo al riconoscimento delle sigarette elettroniche per combattere il tabagismo.

Con questa nuova legge, le Filippine si uniscono al gruppo del Regno Unito, della Nuova Zelanda e degli altri Paesi che hanno incluso la riduzione del danno da tabacco nelle loro politiche. E, come per i Paesi summenzionati, si prevede che la normativa sulle sigarette elettroniche accelererà il calo della prevalenza del fumo anche nelle Filippine”. È il professore catanese Riccardo Polosa a commentare, in una lettera inviata ai presidenti del Senato e della Camera Vincente Sotto e Allan Velasco, la strana parabola dello Stato asiatico, passato in poco più di due anni da un divieto annunciato sui prodotti del vaping a una legge che cerca di sfruttare le potenzialità della sigaretta elettronica per combattere il fumo, scoraggiando il consumo da parte dei minori.
La legge sui prodotti per la vaporizzazione della nicotina, infatti, dopo essere stata approvata dalla Camera lo scorso maggio, ha avuto il via libera a larga maggioranza anche dal Senato poco prima di Natale ed ora aspetta solo la firma del presidente Rodrigo Duterte per entrare in vigore. Si tratta di un testo importante, perché riconosce esplicitamente la riduzione del danno da fumo come strategia di salute pubblica e delinea un quadro regolatorio completo per i prodotti del vaping e quelli a tabacco riscaldato, che tiene in considerazione e compone gli interessi del pubblico e quello degli stakeholder.
Fra il proibizionismo di due anni fa e la nuova posizione di oggi, c’è stato lo scandalo che ha travolto la Food and drug administration locale. Durante una consultazione con i parlamentari sulle linee guida proposte per la regolamentazione proprio dei prodotti del vaping e di quelli a tabacco riscaldato, l’agenzia regolatoria fu costretta ad ammettere di aver accettato finanziamenti da due gruppi americani, the Union e Bloomberg Initiative, riconducibili al miliardario newyorkese Michael Bloomberg, noto per le sue campagne contro la sigaretta elettronica. A quanto pare, questo pesante tentativo di ingerire nelle decisioni di un altro Paese, ha aiutato le Filippine ad approfondire la questione, giungendo a conclusioni opposte rispetto ai desiderata dei proibizionisti.
Ne è stata una prova anche la veemente dichiarazione del Ministro degli esteri filippino Teodoro Locsin Jr, alla vigilia della Cop9 dell’Fctc dell’Oms dello scorso novembre. In un panorama di leader politici che ripetevano le stanche filastrocche del tobacco control, Locsin affermò con inconsueta chiarezza che il suo Paese non prendeva minimamente in considerazione di vietare i prodotti a rischio ridotto, né di sottoporli a tassazione estrema. “I divieti – spiegò – non farebbero che spingere gli operatori nell’illegalità, favorendo il contrabbando. Questo farebbe arricchire ancora di più quei Paesi che hanno il monopolio di Stato sul tabacco. Perché dovremmo permetterlo?”. “Sulla riduzione del danno – concluse Locsin – siamo per la regolamentazione e per una giusta tassazione”. E così è stato.

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