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“Il Monopolio non tutela la salute pubblica ma gli interessi economici”

“Si assiste, anche stavolta, al paradosso di sempre: o un prodotto è dannoso (e lo riconosci come tale) o non si può asseritamente veicolare il messaggio che, con il controllo del Monopolio, tutto diventerà migliore. Più salubre”. Così il professor Giancarlo Antonio Ferro, docente di diritto costituzionale presso l’Università di Catania ed esperto di legislazioni antitabacco, commenta criticamente la decisione di sottoporre la rete della vendita e dell'approvvigionamento (distribuzione) delle sigarette elettroniche al Monopolio di Stato. “In astratto – continua il docente che è anche membro del Comitato scientifico internazionale per la sigaretta elettronica – si tratta di scelte politiche, per definizione libere, discrezionali”. E sulle motivazioni che sono alla base di queste scelte ha pochi dubbi: “Evidenti sono le ragioni economico/finanziare. Non ravviso, infatti, un’azione teleologicamente orientata alla tutela della salute”. Ferro è critico anche verso la Consulta: “La sentenza della Corte Costituzionale se per un verso sembra stravolgere il ragionamento già effettuato nel 2015 – spiega Ferro – per altro verso, contiene un apodittico riferimento al principio di precauzione: in Italia, come altrove, feticcio che tutto salva quando non si sa cosa dire. O poco più”.

Fabio Beatrice: “Il successo è passare alla sigaretta elettronica”

(tratto da Sigmagazine bimestrale #5 - novembre-dicembre 2017) “Il vero interesse della sigaretta elettronica non è la sua potenzialità nella cessazione, quanto la sua potenzialità nella sostituzione”. Il professore Fabio Beatrice non ha dubbi, la vera forza dell’ecigarette sta nella sua capacità di continuare a soddisfare il fumatore, separando l’assunzione della nicotina dai prodotti della combustione del tabacco. In breve, nel suo essere uno strumento di riduzione del rischio. Una strategia per ora non contemplata dalle nostre istituzioni sanitarie nella lotta al tabagismo. Eppure Beatrice non è un outsider nella società scientifica. Otorinolaringoiatra, “non medico a tavolino, ma medico che visita, opera e cura” come ama definirsi, è stato presidente della Società italiana di tabaccologia ed è responsabile del Centro antifumo dell’ospedale San Giovanni Bosco di Torino. E all’ecig ha dedicato studi e persino un libro, La verità sulla sigaretta elettronica. Nel panorama medico-scientifico lei è stato fra i primi a riconoscere le potenzialità della sigaretta elettronica per la salute dei fumatori. Cosa l’ha convinta? Sono partito da un interesse per la sigaretta elettronica quale strumento di aiuto alla cessazione. In quest’ottica il Centro antifumo di Torino che dirigo e l’Istituto superiore di sanità organizzarono una sperimentazione, poi pubblicata nel 2015, per verificare se questo strumento poteva essere inserito in un percorso medicale di supporto al fumatore. L’approccio commerciale puro non serviva ad aiutare i fumatori nel passaggio. La nostra sperimentazione ha dimostrato che invece un approccio medicale a otto mesi produceva uno switch stabile a elettronica del 53% dei fumatori, un comportamento duale con forte diminuzione del fumato reale nel 37%, mentre un 10% falliva completamente. Abbiamo misurato la tossicità e abbiamo visto il monossido di carbonio si azzerava che nei fumatori che facevano switch completo, si riduceva in maniera statisticamente significativa nei fumatori duali, mentre il consumo di nicotina rimaneva più o meno lo stesso. Poi non abbiamo avuto risorse per proseguire lo studio osservazionale a più di otto mesi. All’epoca però ci ponevamo il problema dell’utilizzo della ecig solo come strumento di aiuto alla cessazione. E oggi? L’approccio di puntare esclusivamente alla cessazione è culturalmente sbagliato. Il vero interesse della sigaretta elettronica è semplicemente nello switch, nel passaggio dalla sigaretta tradizionale all’elettronica. Lo switch azzera il monossido di carbonio, lascia la nicotina, riduce in maniera molto significativa i prodotti irritativi e abbatte drammaticamente i cancerogeni di classe A che da ottantatré diventano due o tre. In cosa le sigarette elettroniche sono meno dannose? La sigaretta elettronica azzera in maniera quasi completa i prodotti della combustione. Poi ci sono delle differenze a seconda della potenza utilizzata per svapare, ma di fatto vale la posizione del ministero della Gran Bretagna che fa di tutta l’erba un fascio e sostiene che l’ecig detossica del 95% rispetto al fumo. Uno strumento così per me è un successo. Il problema è che permane una forma di bigottismo nell’accettare che gli utilizzatori continuino in un certo senso a fumare, pur facendosi meno male. La nicotina non è un problema? La nicotina alza di 10 unità di mercurio la pressione, aumenta la produzione di acido cloridrico dello stomaco, ma non fa il danno vascolare. Ictus e infarto sono causati dalla trombosi prodotta dai derivati cancerogeni del catrame che alterano, attraverso una serie di meccanismi biochimici, l’endotelio della parete. Gli artefici del danno sono i derivati del catrame, il monossido di carbonio e gli irritanti: il prodotto della combustione. La nicotina però è quella che dà il piacere e cronicizza il consumo, perché induce dipendenza. Insomma, per assumere la nicotina il fumatore è costretto ad assumere anche sostanze che lo ammazzano. Ma la nicotina è anche il farmaco per smettere di fumare più utilizzato al mondo, solo che somministrata per cerotto o per inalatore non funziona come preso da elettronica. Per quale motivo? Nel nostro studio abbiamo osservato che il fumatore che passa all’elettronica prende esattamente la nicotina che gli serve. In pratica si fa una automedicazione di nicotina. Utilizzare, invece, una specifica modalità di rilascio farmacologico di nicotina, non risponde alle vere necessità del paziente. In realtà nella sperimentazione abbiamo rilevato anche una tendenza a diminuire la nicotina nel tempo, ma purtroppo non siamo riusciti a studiarla, perché ci sono venuti meno i finanziamenti. Perché nonostante tutto questo le istituzioni sanitarie italiane sono state e sono così prudenti verso l’ecig? Analizzando gli studi pubblicati, ci si accorge che la maggior parte sono lavori di tossicologia, farmacologia ed epidemiologia focalizzati sulla tossicità della sigaretta elettronica, e spesso si trattava di ricerche che, se fossero state esaminate da una commissione che conosceva l’argomento, sarebbero state cassate per il metodo scientifico. Poi c’è una minoranza di lavori che paragona il dato dell’elettronica con quello della sigaretta normale e sono concordi nel dire che è nettamente meno tossica. Questi studi in realtà portano acqua al tema della riduzione del rischio, ma nella ricerca scientifica manca un approccio clinico all’elettronica. L’unico che ha subito capito le potenzialità della sigaretta elettronica è stato Umberto Veronesi, che sapeva che la cessazione non è un obiettivo ricevibile per i fumatori. E se un paziente rifiuta, per esempio, un intervento o un tipo di terapia, un medico deve cercare vie alternative. Questo vale anche per i fumatori? Anche con il fumatore un medico deve affrontare il tema della ricevibilità della proposta. Oggi abbiamo uno strumento che permette una detossicazione del 95 per cento, quindi se spostiamo il consumo verso l’elettronica possiamo attenderci un miglioramento. Invece il principio di precauzione medica, che è sacrosanto e ispira gli organi governativi a tutela del consumatore, è talmente tirato da produrre uno stallo per cui la gente continua a morire. E alla fine questo principio va in danno della parte debole e un medico non può non stare dalla parte del debole, del malato. Io che non sono un medico a tavolino, ma sono un medico che visita, che opera e che cura, mi metto dalla parte del fumatore e cerco di essere ricevibile. Sembra quasi che la classe dei medici e dei ricercatori fatichi ad accettare uno strumento che viene dal mercato e che di fatto toglie il fumatore dal suo controllo. È una posizione dissociata da quello che accade. In Italia solo lo 0,1 per cento degli 11 milioni di fumatori si rivolge ai centri antifumo. Di questa minima percentuale, secondo miei dati controllati da un audit esterno, il 43per cento registra la cessazione a tre anni. Con questi risultati non si incide sulle cifre della mortalità. Un altro problema è che la maggior parte dei 376 centri antifumo sono in mano ai Sert (i servizi di tossicodipendenza delle Asl ndr). Non vi operano clinici, ma psicologi e psichiatri consapevoli del danno della sigaretta, ma che si occupano solo della dipendenza. Ma il fumo non è solo dipendenza, il danno non lo fa la sostanza che crea dipendenza, ma il catrame e gli 83 cancerogeni di classe A. Però per loro il demonio è la sostanza che dà dipendenza, cioè la nicotina. Per questo in molte pubblicazioni contro il fumo si sostiene che la sigaretta elettronica arruola al fumo o mantiene la dipendenza. Ma l’elettronica è davvero la porta d’ingresso del fumo? Qui bisogna essere molto concreti. Secondo gli ultimi dati dell’Istituto superiore di sanità l’80 per cento degli 11 milioni di fumatori ha cominciato a fumare prima dei 18 anni. Quindi ora, oggi quasi 9 milioni di minorenni sono arruolati al fumo. Di fronte a questi numeri il problema se la sigaretta elettronica sia o no porta d’ingresso al fumo di tabacco mi sembra di poco conto. Bisogna stare con i piedi per terra, altrimenti per il principio della massima precauzione non si fa niente e i fumatori continuano a morire. È un ragionamento che non può fare un medico. Un medico non può arrivare alla paralisi in ossequio del principio della massima precauzione. Eppure il Ministero della salute ha recentemente ribadito che la riduzione del rischio non è una sua strategia. La strategia del Ministero è la cessazione ed è corretto che esso e l’Iss si esprimano in questo modo, perché partono dal presupposto di garantire al cittadino chiarezza totale su quello che è l’obiettivo vero teorico, cioè fumo zero nel 2050. Ma fra la situazione reale e quell’obiettivo teorico ci sono una serie di tappe intermedie, che possono portare o meno al raggiungimento dell’obiettivo. Da anni siamo in una situazione di stallo ed è il momento di riconoscere che questa strategia dell’offerta di cessazione non funziona. Poi ricordo che 35 società scientifiche italiane - ed anche io - hanno sottoscritto il Manifesto dell’Endgame in cui è prevista la risk reduction. Però non se ne parla e vi è una grossa incultura sul tema della riduzione del danno. Di fatto le istituzioni mantengono una posizione ascetica che crea una frattura fra medici e fumatori, perché propone ai medici di dare degli obiettivi che i fumatori non sentono loro e non percorrono. Così il fumatore scappa dal medico. E la politica come si pone su questo tema? Se siamo indietro noi tecnici, ovviamente è indietro anche la politica. Alla politica può interessare che c’è in ballo la salute di 11 milioni e mezzo di elettori, che se arrivano a capire che non li si sta aiutando ma li si tassa e basta potrebbero arrabbiarsi. Se si fa un’azione a tutela di queste persone, si spiega e si rende ricevibile da un punto di vista politico potrebbe essere vantaggioso. Se domani diventasse Ministro della salute cosa farebbe per la lotta al fumo? Innanzi tutto terrei fermo che il principio di salute fondamentale è la cessazione. Quindi metterei mano all’organizzazione dei centri antifumo, dando loro obiettivi misurabili sulla lotta al tabagismo. Adotterei una strategia di politica friendly, spingendoli ad essere proattivi. Poi includerei i farmaci nei Lea, cioè nelle prestazioni fornite dal servizio sanitario. Obbligherei i centri antifumo a misurare la disponibilità al cambiamento dei fumatori e, in caso di non ricevibilità dell’obiettivo di cessazione, a fare delle proposizioni che seguano strategie di risk reduction. Che possono essere riduzione del fumato reale oppure switch a sigarette elettroniche con delle procedure che siano scientificamente validate. Comunque non si prescinde dai centri antifumo? Userei quello zoccolo duro. Accanto alla strategia clinica, che rende credibili, sarei realistico e quindi metterei in essere una serie di incentivazioni economiche dei prodotti a rischio ridotto rispetto al fumo tradizionale. Modello Gran Bretagna tutta la vita.

Sigarette elettroniche, professor Beatrice: La politica sta sbagliando

Non rimane in silenzio il professore Fabio Beatrice, otorinolaringoiatra e direttore del Centro antifumo dell'Ospedale San Giovanni Bosco di Torino, di fronte alla mannaia statalista che si è abbattuta sul settore del vaping. "Le ultime notizie comparse in tema legislativo sul controllo del fumo elettronico - ha dichiarato telefonicamente a Sigmagazine - suscitano stupore e perplessità, poiché non intervengono sul mondo reale dei tabagisti. Infatti smettere di fumare è una cosa molto difficile e nei centri antifumo perviene lo 0,1% dei fumatori. Queste misure allontanano i fumatori che hanno difficoltà a smettere da una soluzione per loro più ricevibile, che è rappresentata dalla riduzione del rischio. Peraltro questa posizione si sviluppa in maniera opposta rispetto a quella di altri Paesi quali la Gran Bretagna, nella quale con una visione molto pragmatica vengono invece proposte ai fumatori da subito politiche di riduzione del rischio che consentono di intervenire con immediatezza su ampie fasce di fumatori. Resta infine da riflettere - conclude Beatrice - sul fatto che uno stile di vita o un trattamento medico o chirurgico non può essere imposto". Insomma Fabio Beatrice, un medico che quotidianamente si confronta con i danni devastanti prodotti dal fumo, è sconcertato da uno Stato che, con la scusa della salute, si arroga il controllo dell'iniziativa privata e penalizza uno strumento che è invece una chance di cambiamento per chi è caduto nella trappola del tabacco.

Infermieri professionali testimonial della sigaretta elettronica

Della città inglese di Leicester e della sua posizione attivamente vaping-friendly, ci siamo più volte occupati. Nell’aprile dello scorso anno, quando la squadra di calcio locale guidata da Claudio Ranieri viveva una stagione esaltante che l’avrebbe portata allo scudetto, la responsabile del centro antifumo locale Louise Ross non perse l’occasione. Chiese ospitalità allo stadio e prima di una partita casalinga parlò al microfono dei vantaggi per i fumatori di passare alla sigaretta elettronica. A settembre dello stesso anno Ross fece tappezzare la città di manifesti con l’invito “Time to switch?”. Sotto erano rappresentate due sigarette elettroniche e un testo che ne illustrava i benefici per la salute. Un mese dopo, nell’ambito della campagna Stoptober, il centro antifumo di Leicester decideva di offrire gratuitamente una sigaretta elettronica per principianti ai suoi pazienti. Oggi la comunità sanitaria di Leicester fa un altro passo per la diffusione del vaping e questa volta non c’entrano i centri antifumo. Protagonisti saranno infatti gli infermieri specializzati in cancro polmonare dell’Ospedale universitario della città a farsi portavoce della necessità per i fumatori di passare all’elettronica. Giovedì prossimo gli infermieri si raccoglieranno in un frequentato shopping centre di Leicester e cercheranno di spiegare ai cittadini che la sigaretta elettronica rappresenta un ottimo strumento per ridurre il rischio causato dal tabacco. L’iniziativa rientra nell’ambito delle attività previste nel mese dell’informazione sul cancro al polmone, appunto questo novembre. Naturalmente accanto agli infermieri specializzati ci sarà anche Louise Ross, che spiega sul sito Nursing Times: “Sappiamo che il vaping è meno dannoso del fumo almeno del 95 per cento e che le persone che passano alla sigaretta elettronica hanno ottime possibilità di smettere di fumare definitivamente”.

Papa Francesco spegne le sigarette e chiude la tabaccheria Vaticana

L’immagine di Jude Law che nella serie tv di Paolo Sorrentino aspira voluttuosamente una sigaretta è destinata a rimanere l’icona di un momento impossibile. Perché dal 2018, per decisione del Santo Padre, il Vaticano terminerà la vendita delle sigarette ai suoi dipendenti. A dichiararlo questa mattina ai giornalisti il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Greg Burke. “Il motivo – ha commentato Burke – è molto semplice: la Santa Sede non può contribuire ad un esercizio che danneggia chiaramente la salute delle persone”. Il Vaticano sembra essere il primo Stato disposto a mettere fine alla grande ipocrisia dei governi che da una parte organizzano campagne antifumo più o meno convinte, mentre dall’altra contano gli introiti garantiti dalla vendita delle sigarette. Per uno Stato piccolo come quello guidato da Francesco non sarà stato semplice rinunciare al denaro garantito dalla vendita del tabacco - circa 10 milioni di euro secondo le stime di una ricerca di Ernst&Young - ma  "nonostante le sigarette vendute ai dipendenti e pensionati del Vaticano ad un prezzo scontato siano fonte di reddito per la Santa Sede - ha concluso Burke - nessun profitto può essere legittimo se mette a rischio la vita delle persone”.

Turchia, l’Oms benedice il divieto di vendita e importazione

Il ministro delle Finanze turco, Naci Ağbal, ha appena dichiarato che i progetti per permettere l’importazione e la produzione di prodotti elettronici per la somministrazione di nicotina (cioè di ecig) e di riscaldatori di tabacco sono ritirati. Dunque in Turchia rimarrà vietato importare o produrre prodotti alternativi al fumo. E a diffondere la notizia con toni trionfalistici è addirittura l’Organizzazione mondiale della sanità, orgogliosa di avere sventato “la nuova strategia proposta dall’industria del tabacco”. Il comunicato dell’Oms a sostegno della decisione turca, riporta le dichiarazioni della professoressa Hilal Özcebe dell’Università di Hacettepe, che sostiene come le sigarette elettroniche siano dannose esattamente quanto quelle di tabacco. È molto triste che l’Organizzazione della sanità senta il bisogno di ricorrere ad affermazioni prive di fondamento scientifico per difendere la sua politica nel campo del controllo del tabacco. E dunque grazie anche all’Oms, nel Paese di Erdogan si continuerà a utilizzare i metodi di dissuasione usati finora e che hanno portato a risultati mirabolanti. Cioè il 43 per cento di fumatori fra gli uomini adulti, il 18,2 fra le donne e un terribile 16,8 per cento fra i ragazzi fra i 13 e i 15 anni. Tassi di gran lunga superiori ai Paesi dove è consentita la vendita dei prodotti del vaping. E allora chi è alla fine che guadagna davvero da questo divieto?