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La situazione inizia a farsi tesa fra scienziati e istituzioni sanitarie sulle due sponde dell’oceano Atlantico. Negli Usa i numeri relativi alle crisi di malattie polmonari riportati sul sito del Centres for Disease Control and Prevention continuano a salire. E, a circa tre mesi dalla scoperta del problema, la cosa è tutt’altro che rassicurante e forse dovrebbe suscitare qualche interrogativo sulla gestione della crisi. La classe politica risponde alla pressione mediatica decretando divieti e limitazioni, a volte, forse, andando oltre i sui reali poteri, come sembrerebbe confermare la decisione dei tribunali di New York, del Michigan e dell’Oregon che hano sospeso le ordinanze d’emergenza dei rispettivi governatori. L’opinione pubblica è spaventata e stordita.
Ma c’è qualcosa che disturba questa narrazione apocalittica che sta imperversando negli Usa. Il Regno Unito. Un Paese che promuove a livello istituzionale la sigaretta elettronica per i fumatori, sostenendo che riduca il danno del 95%, che ad oggi conta 3,6 milioni di svapatori, senza che vi sia stata alcuna crisi di devastanti malattie polmonari. I due Paesi sono storicamente legati da un rapporto preferenziale, condividono la stessa lingua e si guardano l’un l’altro sentendo una particolare affinità. Infatti in questi giorni non si contano gli interventi degli esperti di salute pubblica e di tobacco control britannici sui canali televisivi e sui giornali, che spiegano come quello che sta vivendo il cugino d’Oltreoceano sia un problema legato alla mancanza di norme specifiche, alla proliferazione del mercato nero, ad un atteggiamento troppo emotivo, ad una mitizzazione del prodotto che ha sortito un effetto boomerang.
Con il passare dei giorni, i toni però si sono fatti sempre meno diplomatici. E se il Surgeon General degli Stati Uniti Jerome Adams si è limitato a dire che “paragonare gli Usa e il Regno Unito è come paragonare le mele con le pere”, altri sono stati meno gentili. Ad aprire le danze è stato John Britton, direttore dello Uk Center for Tobacco and Alcohol Studies, che ha definito la reazione americana come “una completa follia”, non mancando di sottolineare che “la nicotina di per sé non è particolarmente pericolosa”. Con tanti saluti alla campagna americana, che spiega che l’uso della sostanza in età adolescenziale altererebbe lo sviluppo cerebrale.
Non si è fatto attendere dall’altra parte Stanton Glantz, docente dell’Università di San Francisco, papà del suggestivo e mai confermato Gateway effect, autore recentemente di uno studio sull’uso di sigaretta elettronica e rischi cardiaci al centro di forti polemiche. Sulla stampa britannica, l’americano Glantz ha attaccato a testa bassa Public Health England, definendo le sue affermazioni sul vaping “francamente ridicole” e “stupide”. Non contento, ne ha descritto gli appartenenti come “adepti di un culto religioso”, “sposati alla sigaretta elettronica”.
Ma qualcuno è andato oltre. Martin Jarvis, Robert West e Jamie Brown del dipartimento di Behavioural Science & Health dello University College di Londra sono voluti andare alle fondamenta del panico americano per le e-cig: la diffusione del vaping fra i minori. I tre docenti hanno esaminato i dati del National Youth and Tobacco Survey del 2017 e 2018, quello che aveva fatto parlare l’allora commissario della Fda Gottlieb di un’epidemia. I numeri dell’uso e della dipendenza da sigaretta elettronica, però, sono stati messi in relazione con l’anamnesi dell’uso di prodotti del tabacco da parte dei consumatori. E le conclusioni sono completamente diverse. L’uso della sigaretta elettronica nel mese precedente alla rilevazione era aumentato del 78%, passando dall’11,7 del 2017 al 20,8% del 2018. In entrambi gli anni, sostengono gli autori, l’uso era fortemente associato a chi aveva consumato tabacco. Infatti l’uso era limitato all’8,4% fra chi non aveva mai utilizzato tabacco nel 2018, al 29% fra chi aveva già provato un prodotto del tabacco non combusto e arrivava al 71% fra chi nella vita aveva fumato più di 100 sigarette. Inoltre solo lo 0,1% di chi non aveva mai fumato prima era uno svapatore frequente nel 2017, l’1% nel 2018. Fra i non fumatori che avevano usato l’e-cig nel mese precedente la rilevazione, il 61,8% dichiarava di averlo fatto meno di 10 giorni in tutta la vita.
Dunque, concludono i ricercatori britannici, “i dati del Nyts non confermano le affermazioni di una nuova epidemia di dipendenza da nicotina derivante dall’uso di sigarette elettroniche, né i timori che la diminuzione del tasso dei fumatori fra i giovani possa subire un’inversione, dopo anni di progressi. Tra gli attuali utilizzatori di sigaretta elettronica che non avevano mai provato i prodotti del tabacco, le risposte indicano costantemente un livello di dipendenza minimo”.